A guardare la mappa della rete viaria dell’impero romano, pare di vedere una carta dell’Europa moderna con la sua rete autostradale; anzi, come estensione, forse qualcosa di più.
In fatto di strade e di costruzioni in genere i Romani ci sapevano fare, non li batteva nessuno. Da quello scrupoloso osservatore che era, ce lo dice espressamente Plinio il Vecchio: “I Romani posero ogni cura in tre cose soprattutto, che dai Greci furono trascurate, cioè nell’aprire le strade, nel costruire acquedotti e nel disporre nel sottosuolo le cloache”.
La rete viaria romana è qualcosa che ci sbalordisce ancora oggi; pensate che, nel periodo della massima espansione imperiale, raggiunse complessivamente gli 80-100.000 chilometri, ripartiti in 29 strade che si irradiavano da Roma verso l’Italia, e altre in tutti i territori dell’Impero, dalla Britannia alla Mesopotamia, dalle Colonne d'Ercole al Mar Caspio.
La strada romana era fatta a strati (di pietrisco, ghiaia, sabbia, su cui alla fine poggiava la pavimentazione di larghe pietre di basalto) e per questa stratificazione veniva chiamata tecnicamente via strata (stratificata): da cui l’italiano strada, l’inglese street, il tedesco strasse, l’olandese straat, ecc.
Questa rete viaria così ramificata fu costruita principalmente per due motivi: militare e commerciale. Roma aveva bisogno di spostare quasi in continuazione le proprie truppe da e verso l’Urbe, e da e verso le varie località soggette alla sua amministrazione. Si cominciò a costruirle all’epoca della Repubblica: c’era la necessità di spostare, in tempi relativamente rapidi, cospicui eserciti costituiti non soltanto dalla truppa, ma anche da tutto il materiale di supporto logistico alle legioni, carriaggi con vettovagliamenti, viveri, tende e quant’altro occorresse nella previsione di spostamenti verso territori lontani. E il viaggio doveva essere, oltre che il più rapido possibile, anche abbastanza agevole; ecco perché, a cominciare dalla Via Appia, le vie romane di grande comunicazione furono lastricate: con quelle grosse e larghe pietre di basalto che oggi vediamo quasi bombate per l’usura del tempo e per l’abbandono che seguì alla caduta dell’Impero, ma che in realtà erano sicuramente ben squadrate e livellate, per permettere il più agevole e rapido transito delle truppe, dei cavalli, dei carri.
Non si trattò, tuttavia e ovviamente, di realizzazioni stradali per solo uso militare. Roma era una città di grandi commerci, con mercati diremmo “esteri” sempre più in espansione, e bisognosi quindi di efficienti e ben ramificate vie di collegamento, lungo le quali potessero spostarsi abbastanza celermente e con un certo agio merci, mercanti e tutto ciò che aveva attinenza con le comunicazioni, come ad esempio il servizio postale.
Esisteva anche (cosa piuttosto all’avanguardia per l’epoca) una mappa generale della ramificazione delle vie consolari romane (chiamate “consolari” perché ciascuna di esse veniva costruita sotto l’ègida degli uomini di governo - i consoli, appunto - che via via si succedevano): era una grande mappa in marmo esposta nel Foro Romano, forse un po’ per… “grandeur” ma soprattutto per consultazione. Di essa venivano fatte, e vendute, copie in pergamena, con sotto-mappe parziali, ognuna con un particolare itinerario, a seconda delle necessità del viaggiatore. Esattamente come le cartine stradali dei nostri giorni.
Così, chi doveva andare a Brindisi, per poi imbarcarsi per la Grecia o l’Oriente, acquistava l’itinerario della Via Appia (la più antica delle vie consolari romane, fatta costruire nel 330 a.C. dal console Appio Claudio), che uscendo da Roma si protraeva fino a Benevento, per poi portare a Taranto, Bari e, sotto l’imperatore Traiano, giungere fino a Brindisi. Oppure, chi avesse avuto la necessità di commerciare o raggiungere i mercati… francesi (la Gallia) poteva acquistare l’itinerario della Via Aurelia (aperta nel 241 a.C. dal censore Caio Aurelio), che lo avrebbe portato - con prolungamenti del tracciato proseguitisi fino all’età imperiale - sino all’odierna città francese di Arles, in Provenza. Per chi invece voleva recarsi nella fiorente pianura padana c’era la Via Aemilia (fatta costruire nel 187 a.C. dal console Marco Emilio Lepido), che lo avrebbe portato a Milano, Novara, Vercelli, passando prima da Rimini, Imola, Bologna, per poi fargli raggiungere persino Verres, nell’odierna Valle d’Aosta.
E poi la Via Postumia (148 a.C., Spurio Postumio Albino) che collegava Genova al litorale adriatico, passando da Tortona, Cremona, Verona, fino a Concordia a 50 chilometri da Aquileia. O la Via Popilia (132 a.C., Publio Popilio) che congiungeva Capua a Cosenza. O la Via Flavia (79 d.C., Vespasiano imperatore) che univa Trieste a Pola e all’Istria (uso i nomi attuali, tanto per capirci). O infine, tutta la rete stradale dei territori d’Oltralpe e del bacino mediterraneo, nelle attuali Inghilterra, Francia, Spagna, Grecia, Medio Oriente, Africa del nord e tutto il mondo conquistato da Roma.
Per i tempi di cui trattiamo, non doveva essere neppure tanto disagevole affrontare un viaggio su questa rete di… “autostrade”. Oltre alle cartine stradali su pergamena che il Touring dell’epoca forniva ai viaggiatori, lungo i vari percorsi si trovavano, con una intermittenza regolare, informazioni “segnaletiche” e varie comodità: c’erano le pietre “miliari” che indicavano le miglia percorse e quindi quante ne restavano alla conclusione del viaggio; e non mancavano comodità in cui potremmo intravedere, nella loro concezione, le antenate dei nostri motel, aree di servizio e rifornimento, autogrill. C’erano infatti le “tabernae” o altri alloggiamenti più confortevoli dove si poteva far tappa per mangiare e dormire; posti di rifornimento d’acqua e di biada per i cavalli; punti di sosta e comfort dove i corrieri postali potevano sostituire il cavallo con altra cavalcatura non affaticata da viaggi recenti, potendo così proseguire mantenendo una velocità costante e rispettare una tabella di marcia che si aggirava intorno ai 350 chilometri al giorno (se vi sembrano pochi non dimenticate che stiamo parlando - noi del Milano-Roma in un’ora d’aereo - di almeno duemila anni fa…. ).
Un’ultima curiosità, e poi vi lascio liberi di vagare altrove con Internet. Secondo la legislazione romana, il transito sulle strade dell’Impero era ovviamente libero e non gravato da pagamenti di alcun genere: le varie tasse di circolazione o i pedaggi autostradali li abbiamo inventati noi… col progresso). C’era però ugualmente la cura e la manutenzione della via e del suo manto stradale, che fino a tutta l’età imperiale fu particolarmente attenta e puntigliosa. L’incombenza del buono stato di manutenzione della rete viaria era affidata, tratto per tratto, ai municipi delle regioni via via attraversate dalle varie arterie di comunicazione: una specie di Anas ante litteram, con decentramento settoriale di competenze e responsabilità.
Grandi amministratori i Romani. Poi, col Medioevo, le cose cambiarono.
Erano stati preceduti, a dire il vero. Lo storico greco Erodoto ci racconta di una grande “strada del re”, fatta costruire ai tempi di Ciro il Grande, re di Persia: un’arteria di cui ancora oggi rimane qualche tratto, e che partiva dal Golfo Persico, attraversava tutta la Mesopotamia e l’odierna Turchia, fino a giungere al Mar Egeo. Era ben tenuta e amministrata. “Lungo il tragitto - riferisce Erodoto - si trova ospitalità in luoghi attrezzati e confortevoli. I viaggiatori non corrono pericoli perché non attraversano mai zone disabitate, e inoltre c’è un servizio di polizia di rara efficienza”. Nelle regioni della Lidia e della Frigia attraversate da questa grande strada, e per un tratto di 94 parasanghe (circa 550 km. attuali) c’erano venti punti di ristoro e oltre cento fermate e stazioni di posta. Ottima e ben curata, infine, la pavimentazione, cui provvedeva un mastodontico apparato burocratico statale.