| Anche sul terreno politico il regno longobardo subì una grande evoluzione. Inizialmente, come era tradizione dei popoli germanici, il potere del re era debole, essendo egli soltanto il più valente dei guerrieri. Inoltre, il fatto che il dominio longobardo fosse costituito da blocchi separati favoriva la frammentazione del potere e una maggiore autonomia dei duchi.
A partire da re Rotari, iniziò un rafforzamento della monarchia. In questo ebbe grande importanza l'editto di Rotari, con il quale il sovrano fece mettere per iscritto le leggi che regolavano le relazioni fra gli uomini liberi del regno. Queste norme riassumevano una tradizione plurisecolare longobarda, e valevano solo per i longobardi (gli italici rimanevano, infatti, soggetti al diritto romano), ma erano scritte in latino, per testimoniare la volontà del re di farne uno strumento d'integrazione fra la cultura romana longobarda e quella romana. Tra le preoccupazioni che spinsero Rotari a compilare questo editto vi era anche l'intento di garantire una maggior sicurezza sociale. Proprio per questo, tra le altre disposizioni, veniva proibita la faida, che veniva sostituita dal guidrigildo.
Dall'editto di Rotari, la nostra fonte primaria di conoscenza dei longobardi, emerge una società guerriera. In essa il potere è riservato agli uomini liberi, cioè i combattenti, che hanno un dominio pressochè esclusivo sulla rispettiva fara. I rapporti tra gli uomini sono basati su meccanismi di compensazione materiale: tutto può essere misurato e compensato. Il re rimane soltanto un guerriero con più importanza degli altri, ma compaiono i gastaldi, funzionari alle sue dipendenze, che gestiscono il fisco regio. Nasce insomma con Rotari una prima forma di burocrazia, segno del rafforzamento dell'autorità regia. I longobardi del VII secolo erano dunque ormai lontani dai "bevitori di sangue umano" e dai "guerrieri dalla testa di cane" delle origini, come erano stati descritti dallo storico Paolo Diacono nella sua Historia langobardum.
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