Annibale e Spartaco

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Beletseri
view post Posted on 25/5/2007, 15:03




Ieri sera su Stargate hanno parlato di questi personaggi, che arrivarono a minacciare Roma. Mentre di Annibale ho delle basi scolastiche, su Spartaco ho un vuoto totale. Chi era? e perchè costituiva una minaccia per Roma?
 
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Lord Revan
view post Posted on 25/5/2007, 15:10




In assenza di Gio, rispondo io. ;)
Spartaco era un gladiatore che si ribellò ai padroni romani ed organizzò una ribellione guidando tutti gli altri schiavi.
Alla fine, vennero sconfitti e Spartaco ed i rivoltosi vennero uccisi.
Se ti servono altre informazioni, nonostante non sia Gio, posso approfondire un po'. ;)
 
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Giosanto
view post Posted on 25/5/2007, 17:03




In origine Spartaco fu un pastore della Tracia, una regione balcanica tra il Mar Nero e il Mar Egeo. Forse perché costretto dalla miseria, aveva accettato di arruolarsi in un corpo ausiliario della milizia romana, dal quale però fuggì ben presto.
Dichiarato disertore, venne cercato e trovato da "squadre speciali", che lo ridussero in schiavitù (la quale veniva sempre imposta ai disertori, ai prigionieri di guerra, e più in generale ai cosiddetti "barbari"). Dopodiché fu trasformato in gladiatore e venduto a Lentulo, un organizzatore di spettacoli di Capua.

Ma Spartaco nel 73 a.C. riuscì a fuggire anche da qui, trascinando con sé circa 200 gladiatori di cui solo una settantina riuscirono a rifugiarsi presso il Vesuvio, da dove ebbero la meglio contro i primi inviati romani, guidati dai pretori Caio Clodio e P. Vatinio.
Altra importante vittoria fu quella ottenuta contro il pretore Publio Varinio e i suoi luogotenenti: Spartaco riuscì a impadronirsi persino dei cavalli e dei simboli littori dell'esercito. Da questa posizione saccheggiavano la ricca regione campana.
Altri schiavi, braccianti, contadini poveri, pastori dei territori circostanti cominciarono ad aderire alla rivolta. Sicché la linea di blocco posta intorno al Vesuvio fu spezzata e più divisioni romane furono sconfitte in Campania.
Spartaco condusse gli schiavi nella parte sud della penisola, dove si aggregarono altre bande. Nell'inverno 73-72 a.C. l'esercito dei ribelli fu armato regolarmente.
I consoli del 72, Lucio Gellio e Gneo Cornelio Lentulo, scesero in campo con due legioni ciascuno. Una divisione di 20.000 schiavi celti e germani, comandata dal celta Crisso, fu vinta in Puglia, sul Gargano, dal propretore di Gellio, Quinto Avio, che uccise lo stesso Crisso.
Ma il grosso dell'esercito, che ormai era arrivato alle 100-120.000 unità, guidato da Spartaco, vinse l'armata romana e si aprì a forza il passaggio verso il nord d'Italia, fino a Modena.
Era praticamente aperta la via per le Alpi e quindi per il rimpatrio nei paesi celtici, germanici e nel territorio balcanico.
Tuttavia una parte degli schiavi vittoriosi (soprattutto i contadini meridionali) volle restare in Italia o tutt'al più marciare contro Roma, approfittando del momento di debolezza dell'esercito romano.
Spartaco avrebbe preferito continuare le battaglie in Gallia, con l'appoggio sicuro della popolazione locale, ben sapendo che i romani si sarebbero presto ripresi. Però si piegò al volere della maggioranza, ottenendo soltanto che non si muovesse subito contro Roma ma si cercassero al sud altri alleati. E così condusse il suo esercito fino in Lucania.
Roma cominciava a impensierirsi e alla fine del 72 chiese di sostituire i consoli al comando supremo col pretore Marco Licinio Crasso, in quel momento il miglior stratega militare della capitale. Gli fu affidato un esercito di otto legioni, le stesse che bastarono a Cesare per conquistare la Gallia!
Crasso intendeva circondare gli schiavi nel Piceno, ma il suo luogotenente, Mummio, incaricato di aggirare il nemico con le sue legioni, disobbedì agli ordini e attaccò Spartaco. Le legioni romane vennero ancora una volta sconfitte e Spartaco poté dirigersi nel Bruzio (Calabria), presso Turi. Qui, molti mercanti si erano radunati per commerciare il bottino dei beni raccolti dagli schiavi, ma Spartaco proibì che ricevessero in cambio oro e argento: i suoi uomini dovevano accettare solo ferro e rame, necessari per forgiare nuove armi.
Il piano di Spartaco diventò allora quello di sbarcare in Sicilia attraverso lo stretto, in modo da ravvivare nell'isola la rivolta di schiavi mai completamente sopita. Non vi riuscì a causa del tradimento dei pirati, che si misero probabilmente d'accordo con Verre, governatore della Sicilia, rifiutando a Spartaco le navi dopo aver ricevuto il compenso pattuito, mentre già le coste della Sicilia erano presidiate.
Crasso intanto sopraggiungeva alle spalle di Spartaco, ed ebbe l'idea di sfruttare la conformazione del Bruzio per confinare nella regione i nemici: egli fece costruire un vallo presidiato dalla costa ionica a quella Tirrenica, lungo 300 stadi (55 km), per impedire qualunque forma di rifornimento.
Nell'inverno del 72-71 a.C, dopo ripetuti tentativi di forzare il passaggio, Spartaco riuscì a passare il vallo presso Petilia e le selve silane, in una notte di tempesta.
A questo punto Crasso chiese aiuto al senato che gli inviò Pompeo. Egli doveva rientrare in tutta fretta dalla Spagna, dove aveva posto fine alla rivolta di Sartorio, mentre dalla Macedonia, sbarcando a Brindisi, sarebbe accorso Marco Licinio Lucullo.
Il cerchio si stringeva attorno a Spartaco, il quale decise di dirigersi verso Brindisi, forse nel tentativo disperato di oltrepassare l'Adriatico. A questo punto, l'ennesima scissione degli schiavi galli e germani, capeggiati da Casto e Giaunico, indebolì questa volta decisivamente il suo esercito. I due capi ribelli mossero contro Crasso, che li sconfisse.
Saputo dell'imminente arrivo di Lucullo a Brindisi, Spartaco tornò indietro e si diresse in Apulia, verso le truppe di Pompeo. Nei pressi del fiume Sele, in Lucania, si svolse la battaglia finale: 60.000 schiavi, tra i quali Spartaco, morirono (ma il corpo del condottiero non fu mai trovato). I romani persero solo 1.000 uomini e fecero 6.000 prigionieri, che Crasso fece crocifiggere lungo la via Appia (che porta da Capua a Roma).


Altri reparti dell'esercito ribelle, circa 5.000 uomini, tentarono la fuga verso nord, ma vennero raggiunti e annientati da Pompeo. Terminava così la rivolta di Spartaco.
 
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Beletseri
view post Posted on 28/5/2007, 08:27




mille grazie, almeno adesso so la parte storica! ^_^
 
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Lord Revan
view post Posted on 28/5/2007, 16:07




Anche se il tuo ringraziamento è sicuramente rivolto più a Gio che a me, rispondo comunque con un "figurati, non c'è di che". :P
 
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Giosanto
view post Posted on 18/6/2007, 22:06




si fa quel ke si può...
 
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arconte73
view post Posted on 3/4/2009, 19:47




Annibale
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Generale cartaginese

Nascita Cartagine, 247 a.C.
Morte Lybissa, 182 a.C.
Conflitti Seconda guerra punica (219 a.C. - 202 a.C.)
Battaglie famose Battaglia della Trebbia (218 a.C.)
Battaglia del Lago Trasimeno (217 a.C.)

Battaglia di Canne (216 a.C.)

Battaglia di Zama (202 a.C.)

Nemici storici Roma
« Noi troveremo una strada. Oppure ne apriremo una nuova. »
(Annibale risponde all'impossibilità di attraversare le Alpi con gli elefanti)

Annibale Barca (Cartagine, 247 a.C. – Lybissa, 182 a.C.) è stato un condottiero e politico cartaginese, famoso per le sue vittorie durante la Seconda guerra punica.

Marciando dalla Spagna, attraverso i Pirenei, la Provenza e le Alpi, scese in Italia, dove sconfisse le legioni romane in tre battaglie principali - battaglia della Trebbia (218 a.C.), battaglia del Lago Trasimeno (217 a.C.), battaglia di Canne (216 a.C.) - e in altri scontri minori.

Dopo la battaglia di Canne i Romani rifiutarono lo scontro diretto e gradualmente riconquistarono i territori del sud Italia di cui avevano perso il controllo. La Seconda guerra punica terminò con l'attacco romano a Cartagine, che costrinse Annibale al ritorno in Africa nel 204 a.C. dove fu definitivamente sconfitto nella Battaglia di Zama, nel 202 a.C.

Dopo la fine della guerra, Annibale guidò Cartagine per parecchi anni cercando di ripararne le devastazioni, fino a quando i Romani non lo forzarono all'esilio nel 195 a.C. Annibale si rifugiò quindi dal re seleucide Antioco III in Siria dove continuò a propugnare guerre contro Roma. Nel 189 a.C. Antioco III fu sconfitto dai Romani e Annibale dovette ricominciare la fuga, questa volta presso il re Prusia I in Bitinia. Quando i Romani chiesero a Prusia la sua consegna, Annibale preferì suicidarsi; era il 182 a.C.

Annibale è considerato uno dei più grandi strateghi della storia. Polibio, suo contemporaneo, lo paragonava a Publio Cornelio Scipione Africano; altri lo hanno accostato ad Alessandro Magno, Giulio Cesare, Federico II e Napoleone.





Biografia
Annibale (dal punico Hanniba'al חניבעל, Dono [o Grazia] di Baal), figlio di Amilcare che era stato soprannominato "Barca" (da Barak che in punico significava "fulmine"), nacque nel 247 a.C. Il padre, dopo la sconfitta di Cartagine nella Prima guerra punica e dopo aver domato la ribellione dei mercenari e dei sudditi libici, in rotta con il partito aristocratico, cercava la rivincita. Convinse il "Senato" cartaginese a dargli un esercito per conquistare l'Iberia che alcune fonti indicano come un dominio cartaginese perduto. Cartagine fornì solo una forza relativamente ristretta e Amilcare accompagnato dal figlio Annibale, dopo avergli fatto giurare odio eterno a Roma sull'altare di Baal, intraprese nel 237 la marcia lungo le costa del Nord Africa fino alle Colonne d'Ercole. Gli altri due figli, Asdrubale e Magone, restarono a Cartagine. Pur con poche truppe e pochi finanziamenti, Amilcare sottomise le città iberiche scegliendo come base operativa la vecchia colonia punica di Gades, l'odierna Cadice. Egli riaprì le miniere per autofinanziarsi, riorganizzò l'esercito e iniziò la conquista.

Fornendo alla madrepatria convogli di navi cariche di metalli preziosi che aiutarono Cartagine nel pagamento dell'ingente debito di guerra con Roma, Amilcare ottenne finalmente grande popolarità in patria. Sfortunatamente fu ucciso durante l'assedio di Helike (Spagna). Spirando designò il marito di sua figlia, Asdrubale, quale successore. Per otto anni Asdrubale comandò le forze cartaginesi consolidando la presenza punica, edificando una nuova città (Carthago Nova - oggi Cartagena). Asdrubale, impegnato nel consolidamento delle conquiste cartaginesi in Iberia, approfittò delle relativa debolezza di Roma che doveva fronteggiare i Galli in Italia e in Provenza per strappare il riconoscimento della sovranità cartaginese a sud del fiume Ebro. Asdrubale morì nel 221 a.C. pugnalato in circostanze mai veramente chiarite. I soldati, a questo punto, acclamarono loro comandante il giovane Annibale. Aveva ventisei anni e ne aveva passati diciassette lontano da Cartagine. Il governo cartaginese confermò questa scelta.

Dopo due anni trascorsi a completare la conquista dell'Iberia a sud dell'Ebro, Annibale si sentì pronto alla guerra. Cominciò l'assedio di Sagunto - città alleata a Roma con il pretesto che si trovava a sud dell'Ebro e quindi non rientrava nel territorio protetto dal trattato stipulato con Roma. L'assedio durò otto mesi e terminò nel 219 a.C. con la conquista della città. Conquista agevolata da Roma che, impegnata su altri fronti, si limitò a mere proteste verbali presso Cartagine, la quale, aveva buon gioco nel declinare le responsabilità.

Il senato cartaginese, ricevuta alla fine di marzo 218 a.C. un'ambasceria romana, capeggiata dal princeps del Senato Marco Fabio Buteone, non accettò le condizioni dei romani (restituzione di Sagunto e consegna di Annibale). La guerra divenne inevitabile.


La seconda guerra punica
Statua di Annibale Barca.Nella primavera del 218 a.C., sul finire di maggio, dopo aver lasciato il comando della Spagna centrale e meridionale al fratello Asdrubale il giovane, Annibale, iniziò la grande marcia. 90 mila fanti, 12 mila cavalieri e 37 elefanti lasciarono Carthago Nova con un'unica meta, l'Italia. Dopo aver valicato il confine del fiume Ebro, iniziarono i primi problemi. L'opposizione delle genti catalane a nord dell'Ebro fu molto forte. Polibio scrive che Annibale "dovette combattere almeno contro quattro tribù". Gli Ilergeti, i Bargui, gli Ausetani e i Lacetani. A difendere le nuove conquiste Tarragona, Barcino (l'odierna Barcellona), Gerona e tutta la Costa Brava, Annibale lasciò il fratello Annone con 11 mila uomini. Altri uomini furono congedati e tornarono in Spagna. Tolti dal numero i congedati, i morti in battaglia, i dispersi e i disertori, 50 mila fanti, 9 mila cavalieri e i 37 elefanti raggiunsero e oltrepassarono i Pirenei durante il mese di agosto. Dopo un relativamente facile attraversamento dei Pirenei, Annibale dovette scontrarsi con le tribù galliche alleate alla colonia greca di Marsiglia e - contrariamente alle aspettative del generale cartaginese - del tutto indifferenti alla situazione delle consorelle che occupavano la Pianura Padana e sentivano la pressione delle armi romane. Raggiunto il Rodano agli inizi di settembre, Annibale trovò ad aspettarlo Magilo, re dei Boi (popolazione della Gallia Cisalpina), venuto ad aiutare il generale cartaginese ad attraversare le Alpi al fine di combattere il comune nemico: Roma. Nel frattempo il console Publio Cornelio Scipione (padre del futuro Scipione l'Africano), che aveva radunato in agosto il suo esercito a Pisa per imbarcarlo alla volta della Spagna, venne raggiunto dalla notizia che Annibale aveva varcato i Pirenei e decise di bloccarlo sul Rodano, poiché non essendo il fiume guadabile, Annibale avrebbe dovuto costruire un ponte di barche per attraversarlo col suo imponente esercito, con conseguente rallentamento nella marcia. Così il console veleggiò verso la città alleata di Massilia, l'odierna Marsiglia, alle foci del fiume. Annibale dopo aver annullato la resistenza di alcune tribù celtiche, mandò la cavalleria numidica in avanscoperta e avvenne il primo contatto con l'esercito nemico: trecento cavalieri che pattugliavano la zona. Fu solo una scaramuccia, ma le distanze fra i due eserciti si erano ormai annullate. Il generale cartaginese volle evitare lo scontro, poiché il suo scopo era di arrivare in Italia e fomentare la sollevazione delle popolazioni assoggettate dai romani, così dopo aver fatto passare il fiume agli elefanti tramite un espediente (zatteroni mimetizzati da terreno con ai fianchi otri di pelle pieni di paglia per regger il peso), puntò verso nord risalendo il corso del Rodano. Arrivato all'altezza dell'odierno fiume Isère, seguì il suo corso, e decise di attraversare le Alpi dal Moncenisio (secondo la versione di Polibio).Secondo altri storici invece valicò il Piccolo S. Bernardo (Cremonis iugum) che viene citato anche da Nepote con il nome di Saltus Graius.(Nep.,Hannibal,III) Era la fine di ottobre per poco Annibale riuscì a raggiungere la Pianura Padana prima dell'inverno mantenendo quell'effetto sorpresa che voleva ottenere. Dei sessantamila che avevano attraversato i Pirenei, solo 20 mila fanti, 6 mila cavalieri e 21 elefanti (di cui, secondo Polibio, solo uno riuscirà a sopravvivere all'inverno e alle conseguenze del viaggio), riuscirono ad arrivare nella Pianura Padana, meno della metà. Sconfiggendo tribù montane, difficoltà del terreno e intemperie, Annibale aveva compiuto una delle imprese militari più memorabili del mondo antico.Assai dettagliata è la descrizione dell'attraversamento in Livio che cita anche un geniale metodo per spaccare le rocce che impedivano il passaggio (metodo confermato anche da Vitruvio e Plinio): Annibale riscaldò la roccia e un volta raffredatasi la spezzò dopo averla ricoperta di aceto.

La sua improvvisa apparizione fra i Galli della Pianura Padana fece staccare molte tribù dalla appena stipulata alleanza con Roma. Dopo una breve sosta per lasciare riposare i soldati, Annibale si assicurò le posizioni alle spalle sottomettendo la tribù ostile dei Taurini (nei dintorni dell'odierna Torino). Quindi mosse lungo la valle del Po sconfiggendo i Romani, guidati da console Publio Cornelio Scipione, in una scaramuccia presso Victimulae lungo il Ticino costringendoli ad evacuare buona parte della Lombardia con azioni della sua superiore cavalleria. Nel dicembre dello stesso anno ebbe l'opportunità di mostrare la sua capacità strategica quando attaccò al fiume Trebbia (Battaglia della Trebbia) vicino Piacenza le forze di Publio Cornelio Scipione (padre dell'Africano) cui si erano aggiunte le legioni di Tiberio Sempronio Longo. Tatticamente la battaglia anticipò quella di Canne. L'eccellente fanteria romana si incuneò nel fronte dell'esercito cartaginese ma i romani furono accerchiati ai fianchi dalle ali di cavalleria numidica e respinti verso il fiume. Di 16.000 legionari e 20.000 alleati si salvarono circa 10.000 uomini che ripiegarono nella colonia romana di Piacenza fondata da pochi anni (218 a.C.).

Dopo aver resa sicura la sua posizione nel nord Italia con questa battaglia, Annibale acquartierò le sue truppe per l'inverno fra i Galli il cui zelo per la sua causa, cominciò a scemare a causa dei costi del mantenimento dell'esercito punico. Nella primavera del 217 a.C. Annibale decise di trovare a sud una base di operazioni più sicura. Con le sue truppe e l'unico elefante sopravvissuto all'inverno, attraversò quindi l'Appennino senza incontrare opposizione. Lo attendevano grosse difficoltà nelle paludi dell'Arno dove perse molte delle sue truppe per i disagi e le malattie e dove egli stesso perse un occhio.

« Annibale scampò a stento, con grande pena, sull'unico elefante sopravvissuto, molto sofferente per una grave forma di oftalmia che lo aveva colpito, a causa della quale gli fu infine anche tolto un occhio... »
(PolibioStorie, III, 79, 12, BUR. Milano, 2001. trad.: M. Mari.)

Nepote invece afferma che non potè più utilizzare l'occhio destro bene come prima.(Nep.,Hannibal,IV)

Avanzò quindi in Etruria su terre più elevate inseguito dalle armi romane. Con l'aiuto della nebbia riuscì a sconfiggere i romani a Tuoro sul Trasimeno, nella più conosciuta Battaglia del Lago Trasimeno piombando all'improvviso dalle colline circostanti sulle truppe romane in spostamento e intrappolandole sulle spiagge e nelle acque del lago. La disfatta per i romani fu pesantissima, e nella battaglia morì anche il console Gaio Flaminio. La strada per Roma era aperta, ma solo teoricamente. Se da un lato è vero che nessun esercito si frapponeva più fra lui e Roma, d'altro canto Annibale si rendeva conto però di non disporre di un esercito tecnologicamente attrezzato per un assedio della Città, prevedibilmente lungo. Fra l'altro dovette anche constatare che man mano che si addentrava in Umbria le popolazioni si mostravano sempre più fedeli a Roma e a lui più ostili, pertanto preferì sfruttare la sua vittoria per spostarsi dal Centro al Sud Italia e lì provare a suscitare una generale rivolta contro i dominatori di Roma. Nonostante un iniziale successo, questa strategia a lungo andare fallì perché comunque la maggior parte delle città sottomesse a Roma non si rivoltarono.

Anche se controllato e disturbato strettamente dalle truppe del dittatore Quinto Fabio Massimo che sarà detto "il Temporeggiatore", riuscì parzialmente nel suo intento staccando vari popoli dall'alleanza con Roma. In un'occasione, anche se intrappolato nella pianura Campana riuscì a sfuggire con uno stratagemma e a trovare una base confortevole nelle pianure dell'Apulia, dove i Romani non osavano scendere per timore della superiore cavalleria del cartaginese.

Nella campagna del 217 a.C. Annibale non riuscì a ottenere un seguito fra le popolazioni Italiane ma l'anno seguente ebbe l'opportunità di creare una svolta in questo atteggiamento. Un forte esercito Romano comandato dai consoli Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone avanzò verso di lui in Apulia e accettò battaglia nei pressi di Canne (Battaglia di Canne). Ponendo al centro dello schieramento i Galli (che come previsto cedettero rapidamente) e attaccando con la cavalleria pesante numidica la cavalleria leggera di Roma, messa presto in fuga, Annibale riuscì a circondare le legioni e a distruggerle quasi completamente. I romani ebbero 60.000 caduti, 10.000 caddero prigionieri e solo 10.000 circa riuscirono a rifugiarsi a Venusia con il superstite console Varrone.

Le perdite di Annibale furono circa 6.000. Questa vittoria portò al suo fianco la quasi totalità delle popolazioni meridionali mentre l'Etruria e i Latini restarono fedeli all'Urbe. Non avendo però ricevuto aiuti a sufficienza né dalla madrepatria né dai nuovi alleati non poté portare un attacco diretto a Roma nonostante questa non potesse più schierare molte truppe a sua difesa. Dovette quindi accontentarsi di dispiegare le truppe al controllo del territorio e il solo evento notevole del 216 a.C. fu la conquista di Capua, allora la seconda maggior città d'Italia. Annibale vi pose la sua nuova base.

Negli anni successivi Annibale si dovette adattare a operazioni minori per lo più necessarie al controllo della Campania. Non riuscì a costringere i suoi nemici ad una battaglia definitiva e, anzi, dovette subire alcune leggere sconfitte. Con il passare del tempo la sua posizione nel Sud Italia divenne sempre più difficile. Le truppe affidate ai suoi subordinati non erano, in genere, capaci di operare da sole e né il governo cartaginese (che inviò solo 4.000 numidi e 48 elefanti [senza fonte]) né il suo alleato Filippo V di Macedonia (disturbato dall'azione diplomatica romana presso la Lega Etolica e Attalo I di Pergamo avversari del re macedone) operarono per portargli un aiuto concreto e sufficiente. La conquista di Roma diventava sempre più remota e difficile. Nel 212 a.C. Annibale ottenne un grande successo conquistando Taranto, colonia greca in prospettiva utile porto per ricevere aiuti via mare dall'Africa. Per contro, non riuscendo a respingere le armi romane in Campania perse il controllo della regione. L'anno successivo Annibale ritornò in Campania con tutto l'esercito e con una marcia attraverso il Sannio arrivò a tre Km da Roma causando il terrore della popolazione ma pochissimi danni e ancora meno pericolo.

Ma nello stesso anno Capua cadde nuovamente in mani romane. E Roma dimostrò come trattava le popolazioni che tradivano. Questo rese per lo più difficile la situazione del cartaginese facendo vacillare la decisione nelle altre popolazioni vicine. Nel 210 a.C. sconfisse un esercito proconsolare a Herdoniae (oggi Ordona) in Apulia e nel 208 a.C. distrusse una forza romana che assediava Locri. Però Quinto Fabio Massimo, nonostante i suoi quasi settant'anni, assalì Taranto che espugnò l'anno successivo. 30.000 abitanti furono venduti come schiavi. Era 209 a.C. e Roma con 10 delle sue 25 legioni attive (circa 200.000 uomini mobilitati) continuava la graduale riconquista del Sannio e della Lucania. Nel 207 a.C. Annibale ritornò in Apulia dove sperava di riuscire a concertare un ricongiungimento con un esercito cartaginese che stava discendendo l'Italia agli ordini del fratello Asdrubale. Per sua sfortuna, Asdrubale fu sconfitto nella Battaglia del Metauro dalle legioni di Livio Salinatore e Gaio Claudio Nerone e morì. Annibale dovette ritirarsi nelle montagne del Brutium (Calabria) dove riuscì a resistere per alcuni anni. Il fratello superstite Magone venne fermato in Liguria 205 a.C. - 203 a.C. e i negoziati con Filippo V di Macedonia non gli portarono nessun vantaggio a causa dell'interferenza Romana. L'ultima speranza di successo in Italia ebbe termine.


Ritorno in Africa
Annibale ritrova il capo mozzato del fratello Asdrubale, ucciso dai Romani, affresco di Giovambattista Tiepolo, 1725-1730 ca, Vienna, Kunsthistorisches Museum.Nel 204 a.C. Publio Cornelio Scipione Africano che l'anno prima era stato eletto console portò la guerra in Africa con 25.000 uomini. Scipione si alleò con Massinissa re numida avversario dell'altro re numida, Siface, che lo aveva cacciato dal regno con l'aiuto dei cartaginesi, e ne poté usare la cavalleria, molto più adatta alle nuove tattiche belliche di quella romana. Cartagine cercò di intavolare trattative di pace ma Scipione sconfisse le forze di Asdrubale e Siface in due consecutive battaglie.

Nel 203 a.C. Annibale e il fratello Magone, che aveva appena subito una sconfitta a Milano e che morì nel viaggio di ritorno, furono richiamati in patria e il condottiero, dopo aver lasciato un ricordo della sua spedizione su tavole di bronzo nel tempio di Giunone di Capo Lacinio, fece vela per l'Africa. Il suo arrivo a Cartagine ridiede il vantaggio al partito della guerra che lo pose alla testa delle truppe, un misto di milizie cittadine e dei suoi veterani e mercenari. Nel 202 a.C. dopo un'inutile conferenza di pace con Scipione si scontrò con lui nella Battaglia di Zama. Scipione ormai conosceva le tattiche dell'avversario e, paradossalmente, le usò contro il loro inventore. La cavalleria numidica di Massinissa sbaragliò quella cartaginese. Inoltre le disaggregate forze cartaginesi non potevano reggere al confronto con l'esercito romano, ottimamente allenato e disciplinato. La sconfitta di Annibale a Zama pose fine alla residua resistenza di Cartagine e alla Seconda guerra punica.

Annibale aveva appena 46 anni e dimostrò di saper essere non solo un condottiero ma anche un uomo di stato. Dopo un periodo di oscuramento politico, nel 195 a.C. tornò al potere come suffeta (capo del governo). Il titolo era diventato abbastanza insignificante ma Annibale gli ridiede potere e prestigio. L'economia cartaginese, pur se deprivata degli introiti del commercio, stava riprendendo vigore con un'agricoltura specializzata. Annibale tentò una riforma dello Stato per incrementare le entrate fiscali ma l'oligarchia, sempre gelosa di lui, tanto da accusarlo di aver tradito gli interessi di Cartagine quando era in Italia evitando di conquistare Roma quando ne aveva avuto la possibilità, lo denunciò ai sempre sospettosi romani.


L'esilio
Annibale preferì scegliere un volontario esilio. Prima tappa fu Tiro, la città-madre di Cartagine. Dopo fu a Efeso alla corte di Antioco III, re di Siria. Questo re stava preparando una guerra a Roma. Annibale si rese subito conto che l'esercito Siriaco non avrebbe potuto competere con quello romano. Consigliò quindi di equipaggiare una flotta e portare un esercito nel sud Italia aggiungendo che ne avrebbe preso lui stesso il comando. Antioco III, però ascoltò piuttosto cortigiani e adulatori e non affidò ad Annibale nessun incarico importante. Nel 190 a.C. Annibale fu posto al comando della flotta fenicia ma fu sconfitto in una battaglia alle foci dell'Eurimedonte.

Dalla corte di Antioco che sembrava pronto a consegnarlo ai Romani, Annibale fuggì per nave fino a Creta. È celebre l'aneddoto del suo inganno; i Cretesi non volevano lasciarlo più partire a meno che non lasciasse nel loro tempio principale l'oro che aveva con sé come offerta votiva. Egli allora finse di acconsentire. Consegnò un grosso quantitativo di ferro appena ricoperto da un sottile strato d'oro e trafugò invece le sue barre fondendole e nascondendole all'interno di statue di magnifica fattura che egli portava sempre con sé e che i Cretesi gli permisero di portar via. Da Creta quasi subito ritornò in Asia. Racconta Plutarco che Annibale si spinse a cercare rifugio nel lontano regno del re Artassa, nell'attuale Armenia, dando molti consigli al proprio ospite, tra l'altro sulla costruzione di un nuova città in una zona del territorio di natura eccellente e assai amena, ma incolta e trascurata. Artassa fu ben felice di conferire l'incarico di dirigere i lavori al condottiero Cartaginese, che diede prova di ottimo urbanista, contribuendo all'edificazione della nuova capitale degli Armeni, nei pressi del fiume Mezamòr, a nord del monte Ararat, che prese il nome (in onore del sovrano) di Artaxana; conosciuta per tutta l'antichità e presente a lungo nelle carte geografiche è oggi quasi del tutto scomparsa. In seguito Annibale tornò a volgersi ad Occidente, chiedendo rifugio a Prusia Il re di Bitinia, nell'attuale Anatolia. Qui fece costruire la seconda città dopo Artaxana, che chiamò, ancora una volta in onore del proprio ospite, Prusia - di cui ancora rimangono le vestigia dell'Acropoli - che in seguito diventerà Bursa, futura prima capitale dell'Impero Ottomano. La parabola del Condottiero si conclude proprio in Bitinia, nei pressi di Lybissa, l'attuale Gebze, 40 km a est di Bisanzio.Secondo Nepote un legato Bitinico informò per errore Flaminio della presenza di Annibale in Bitinia (Nep.,Hannibal,XII). Ancora una volta i Romani sembrarono determinati nella sua caccia e inviarono Flaminio per chiedere la sua consegna. Prusia accettò di darlo loro ma Annibale scelse di non cadere vivo nelle mani del nemico. A Libyssa sulle spiagge orientali del Mar di Marmara prese quel veleno che, come diceva, aveva a lungo conservato in un anello. Curioso (ma non si sa quanto veritiero) a questo punto l'oracolo che in giovane età lo aveva sempre convinto che sarebbe morto in Libia, a Cartagine e che citava testualmente: "Una zolla libyssa (libica) ricoprirà le tue ossa". Immaginiamo quale fosse il suo stupore quando apprese il nome di quella lontana località in cui si era rifugiato. Le sue ultime parole si dice fossero: "Poiché i Romani non hanno tempo di aspettare la morte di un vecchio, vediamo di fare loro questo favore". L'esatta data della sua morte è fonte di controversie. Generalmente viene indicato il 182 a.C. ma, come sembra potersi dedurre da Tito Livio, potrebbe essere stato il 183 a.C., lo stesso anno del suo vincitore: Scipione l'Africano. A Gebze, più precisamente, oltre la sua periferia orientale, si trova un monumento che ricorda il grande Annibale. Tale monumento fu voluto da Mustafa Kemal Atatürk (padre della patria turca), e realizzato dopo la sua morte. Tale monumento porta inciso tale epigrafo:

« Annibale 247 a.C. - 183 a.C.
Questo monumento è stato costruito come espressione di apprezzamento per il grande generale nel centesimo anniversario della nascita di Atatürk. Annibale sconfisse i romani dopo aver ricevuto come rinforzi degli elefanti a Barletta. Quando seppe che Prusia re di Bitina stava per consegnarlo al nemico, si suicidò a Libyssa (Gebze) nel 183 a.C. »



Annibale nella Storia

Fonti antiche
La figura di Annibale ha sofferto di una storica distorsione. I soli scritti su di lui sono le fonti romane, ovviamente molto ostili, in quanto Roma lo considerò il peggior nemico che abbia dovuto fronteggiare. Le accuse al cartaginese si rivelano alquanto ipocrite. Quando al Lago Trasimeno morì il console Gaio Flaminio, Annibale ne cercò invano il corpo sul campo di battaglia. In un'altra occasione le ceneri del console Marcello furono restituite alla famiglia. Ma quando Marco Livio Salinatore e Gaio Claudio Nerone sconfissero Asdrubale alla Battaglia del Metauro, la testa del fratello di Annibale fu gettata nel campo cartaginese. Non sembra che Annibale fosse più crudele di così, ma l'immagine persiste. Cicerone quando parlava dei due grandi nemici di Roma usò per Pirro il termine "onorevole" mentre definiva "crudele" Annibale. Per contro ricordiamo che Polibio, pur essendo ostaggio greco a Roma, entrato nel circolo degli Scipioni - acerrimi nemici del cartaginese - ne ha sempre esaltato la figura. Anche Tito Livio traccia un ritratto più equilibrato del grande nemico.


Fonti moderne
Il nome di Annibale è molto conosciuto nella cultura popolare, misura oggettiva della sua importanza nella storia del mondo occidentale. L'autore dell'articolo nell'Enciclopedia Britannica del 1911 così lo descrive:

« Sul genio militare di Annibale non vi possono essere due opinioni. Un uomo che per quindici anni riesce a tenere il campo in una terra ostile e contro potenti forze guidate da una serie di abili generali deve essere un comandante e uno stratega supremo. Per stratagemmi e imboscate certamente superò tutti i generali dell'antichità. Senza dimenticare lo scarso aiuto fornitogli dalla madrepatria. Quando dovette fare senza i suoi veterani, organizzò sul momento truppe fresche. Non abbiamo mai sentito di ammutinamenti nei suoi eserciti anche se composti di Libici, Iberici e Galli. E ancora; tutto quello che sappiamo di lui proviene da fonti ostili. I Romani lo hanno tanto temuto e odiato che non poterono rendergli giustizia. Tito Livio parla di sue grandi qualità ma anche di suoi egualmente grandi vizi, fra cui segnala la sua più che punica perfidia e l'inumana crudeltà. Per la prima non vi era altra giustificazione della sua consumata bravura nelle imboscate. La seconda deriva, noi crediamo, dal fatto che in certi casi si comportò come le usanze belliche dell'epoca consentivano. Certo non arrivò alla brutalità di Claudio Nerone con la testa di Asdrubale. Polibio dice semplicemente che fu accusato di crudeltà da Romani e di avarizia dai Cartaginesi. In effetti Annibale ebbe acerrimi nemici e la sua vita fu una continua lotta contro il destino »
 
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