Celti, religione e festività

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Melisande
view post Posted on 23/5/2007, 19:06




Divinità celtiche



Arawn



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Re dell'Annwn (l'oltretomba) e guardiano dei luoghi pericolosi. Pregando questo Dio un mortale potrebbe avere accesso alla saggezza delle anime degli antenati assimilate da Arawn.
Nel primo ramo del Mabinogion egli è accompagnato da una muta di cani bianchi dalle orecchie rosse detti Cwn annwn (i cani dell'oltretomba). Narra la leggenda di Arawn e Pwyll che i due si scontrano durante una battuta di caccia durante la quale Pwyll, principe del Dyfed, sottrae una preda ai cani di Arawn. Il dio profondamente offeso offre a Pwyll una via di scampo: i due dovranno scambiarsi le sembianze e regnare sui rispettivi regni per un anno, alla fine di questo periodo Pwyll dovrà uccidere con un solo colpo Hafgan, un dio-re che insidia il trono di Arawn. Pwyll riesce nell'intento e tra lui ed Arawn si instaura un rapporto di profonda amicizia.
Arawn è anche signore dell'inganno e del doppio gioco e fa di tutto per accaparrarsi le anime dei mortali. Meschino, crudele, affascinante, non ha un aspetto vero e proprio, ma si presenta sotto molteplici forme e aspetti.
Egli può dare consiglio a chi lo prega, rivelando a lui il passato e il futuro, i pensieri più segreti dei vivi e dei morti, ma spesso questi consigli sono raggiri, frasi sibilline o vere e proprie armi a doppio taglio, finalizzate sempre al raggiungimento da parte di Arawn del suo unico e solo obiettivo: altre anime di cui cibarsi.
Arawn si diverte inoltre ad avvicinare fanciulle mortali, mostrandosi loro con le sembianze del loro amato, o di un uomo bellissimo, corteggiandole per poi depositare nel loro grembo un figlio dannato, dal destino segnato e legato ad Arawn per l'eternità.
Egli dimora di preferenza nella parte più buia dell'Annwn, dove gode nell'ascoltare i gemiti e i lamenti delle anime che vi vagano senza pace.

Arianrhod



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Arianrhod ("la ruota d'argento", ovvero la Luna) è una delle discendenti di Don. Sorella di Gwydion (consigliere di Math ap Mathonwy) e madre di Dylan e Llew Llaw Giffes.
Arianrhod presiede all'aurora, alle fasi lunari e quindi per associazione a tutte le questioni femminili, alle nascite, ai matrimoni, alla fertilità ed ai riti lunari. E' una Dea dalla connotazione fortemente sessuale ed i riti a lei dedicati comprendono accoppiamenti ed orge. La sua dimora è Caer Arianrhod, ovvero l'aurora boreale.
Nel quarto ramo del Mabinogion si narra che il Dio Math ap Mathonwy (Math figlio di Mathonwy) aveva il bisogno di posare i piedi sul ventre di una vergine per calmarsi. Quando la vergine Goewin che era preposta a questo compito fu stuprata durante una battaglia Arianrhod venne scelta per sostituirla. Per provare la sua verginità ella dovette camminare sul bastone magico di Math. Appena compiuta la prova Arianrhod dette alla luce due figli. Uno venne chiamato Dylan, l'altro ebbe dalla madre tre Geis (veti): egli non doveva aver un nome, non poteva sposare una donna mortale nè portare armi che non gli fossero state donate dalla madre. Gwydion convinse con l'inganno Arianrhod a chiamare questo ragazzo Llew Llaw Giffes ("lo splendente dall'abile mano").

Artio



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Dea della caccia e dell'abbondanza, spesso raffigurata come un'orsa (o in compagnia di un orso). Il suo nome significa infatti "orsa". Pare che il nome di Artù sia collegato a questa divinità di cui ad oggi non restano che pochissime tracce.

Cernunnos



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Dio delle foreste e degli animali selvatici, , il cui nome significa "colui che ha le corna" o "colui che ha le corna appuntite". La sua figura è fortemente sessuale in quanto Cernunnos simboleggia la forza, la virilità e la fertilità.
La prima immagine conosciuta di Cernunnos è l'incisione rupestre di Paspardo, in Val Camonica, del IV secolo a.C., nella quale il dio è ritratto con le corna di un cervo, porta un torquis ad ogni braccio ed è accompagnato da un serpente con corna d'ariete e da un piccolo fedele col pene eretto.
In altre rappresentazioni egli ha un serpente al posto di un braccio e dalla sacca che tiene in grembo cadono monete o semi, simboli anch'essi di abbondanza e fertilità.
Cernunnos figura anche sul famoso Calderone di Gundestrupp, nell'atto di gettare un uomo al suo interno, forse come simbolo di rinascita o rigenerazione.

Coventina



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Coventina era la personificazione della sacra fonte di Carrawburgh situata lungo il Vallo di adriano. La sorgente alimentava un piccolo pozzo circondato da un muro ed era usanza per i celti di quelle zone di andare a gettare al di là del muro monete, monili od oggetti di uso quotidiano come offerta alla Dea. Erano soprattutto le donne a fare queste offerte per propiziarsi un parto sicuro.
Coventina era anche considerata una dea guaritrice, si credeva infatti che le acque della sua fonte potessero guarire molti malanni.
E' spesso raffigurata come una ninfa acquatica seminuda sdraiata in mezzo alle onde oppure nell'atto di versare acqua da una coppa.

Epona



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Epona è la dea dei cavalli per antonomasia, il suo nome deriva infatti dalla parola celtica "epos" che significa appunto "cavallo". Per i celti il cavallo era molto importante, al punto tale che essi non ne mangiavano per alcun motivo le carni, per questo Epona era una delle divinità più venerate.
Il suo culto era diffuso soprattutto in Gallia e in Renania tra le tribù degli Edui, dei Lingoni e dei Treveri ma compare anche in aree più remote come la Britannia e l'Iberia.
Viene rappresentata sempre in compagnia di uno o più cavalli, con ceste di grano o frutta ai suoi piedi. In alcune raffigurazioni ella porta appesa alla cintura una chiave che secondo alcuni studiosi rappresenta la sua capacità di aprire le porte dell'oltretomba e di favorire così una "rinascita". Epona era inoltre associata all'acqua e al latte, nutrimento essenziale per i Celti.

Dagda



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In origine era chiamato Dagodevos ed era la principale divinità dei danesi che si spostarono in Irlanda. Padre di Angus (o Oengus), dio dell'amore e di Brigit, dea della sapienza e della poesia, sposo di una dea con tre nomi (Breg "menzogna", Meng "astuzia" e Meabel "disgrazia") era considerato come un dio benevolo, protettore degli uomini e padre dei Tuatha de Danann. Altre divinità come Bodb il rosso, Ceacht, Midir e Ogma sono talvolta indicate come suoi figli.
Il suo nome significa "il buon dio" ed eraassociato alla magia e all'abbondanza, egli infatti possedeva un caderone magico chiamato Uldry che poteva nutrire tutta la terra.
Viene rappresentato con un'enorme clava in mano, la quale ha una particolarità: quando colpisce da una parte uccide i vivi e quando colpisce dall'altra resuscita i morti.
Il Dagda è una figura paradossale, dotato di infinita saggezza è però rozzo e volgare ed ostenta una voracità smodata oltre ad una perenne, smisurata erezione.
Fu costretto dal figlio Angus ad abdicare.

Brigit



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"Alta, forte o gloriosa", dea della sapienza, del fuoco, del focolare domestico e della poesia. Brigit è una delle divinità più complesse del Pantheon celtico ma anche una delle più amate, tanto che la Chiesa Cristiana per eradicarne il culto la trasformò in Santa Brigida. Era una dea una e trina, a volte legata a due "sorelle" e talvolta veniva associata anche alla guarigione ed alla fertilità tanto che la festa di Imbolc (1° febbraio) era a lei dedicata in quasi tutta l'area celtica.
Brigit era conosciuta anche con i nomi Berecyntia, Brigindo, Brid, Bridget e Brigantia, in quest'ultima forma era la dea protettrice dell'omonima tribù dei Brigantii del nord della britannia. Per i briganti la Dea Brigit era anche una divinità della guerra e veniva da loro raffigurata con elmo, lancia e scudo.
In Irlanda era la figlia del dio buono Dagda e quindi legata alle "cose buone", alla fertilità, al parto, ai mestieri ed alla poesia.
In Scozia era chiamata Bride, dal cui nome pare derivi il moderno Bride (sposa, in inglese) ed era la dea preposta ai matrimoni e al parto.


L'ANNWN - L'oltretomba dei celti



Tra le popolazioni dette “Galli” dai romani era diffusa la credenza che le anime degli uomini fossero immortali e che dopo un determinato periodo di tempo tornassero a vivere in un altro corpo.
L’ingresso dell’Annwn (Cruachan) è situato su di un'isola in mezzo al freddo mare del nord, sulla quale si trova una grande montagna sul cui lato ovest si trova una grotta. Da qui si discende verso l’abisso.
Secondo le tradizioni celtiche le anime dei defunti vanno a finire nell’Annwn (l’abisso) composto da tre cerchi a spirale, il che riflette l’idea sia l’idea del “passaggio” che quella del tre come numero sacro.
Il primo cerchio è l’Abred (la migrazione) in cui l’anima viene purificata e liberata dai ricordi della sua vita terrena. Le anime che non riescono a liberarsi della loro componente umana non proseguono il cammino ma tornano in vita sotto forma di animali o piante. Coloro che sono morti da vigliacchi o hanno compiuto in vita azioni disonorevoli invece non possono tornare in vita ma soffriranno per l’eternità nella parte più buia dell’Annwn, tormentati dai Cwn Annwn, i cani bianchi dalle orecchie rosse del dio Arawn.
Le altre proseguono nel secondo cerchio, il Gwnfyd (luogo di felicità) dove lo spirito del defunto viene sollevato da ogni dolore. Per la maggior parte degli uomini questo è il luogo d’arrivo prima della rinascita, solo pochissimi eletti possono arrivare al terzo cerchio.
Il Ceuhant (luogo infinito) è il cerchio più interno dell’Annwn, ove è possibile incontrare gli Dei ed apprendere da essi i misteri dell’universo.
Coloro che tornano in vita dopo aver dimorato nel Ceuhant sono destinati a rinascere come druidi.
Dopo un determinato ciclo di vite lo spirito viene considerato purificato ed elevato e viene quindi ammesso nel Tir Na Nog, la Terra dell’Eterna Giovinezza, una sorta di paradiso celtico dove non si invecchia mai, si beve idromele e si mangia a volontà.
Nota: dal mito dell’Annwn attinge a piene mani la tradizione arturiana. La leggendaria Avalon sarebbe una sorta di “punto di passaggio” tra il nostro mondo e l’Annwn, situato circa a metà strada. Regno delle fate e degli elfi, qua il tempo scorre molto più lentamente del normale. Ripresa e romanzata troviamo la storia anche nel “Ciclo di Avalon” di M.Z. Bradley.

Le Festività celtiche



Le feste celtiche celebrano i momenti dell'anno nei quali il mondo terreno e il mondo degli Dei si sovrappongo. Le feste erano, grazie ai druidi che le organizzavano e le presiedevano, l’incontro tra gli dei e gli uomini in un momento ed in un luogo ben definito, seguendo precisi criteri di tempo in un luogo sacro specifico. Indica anche un momento di passaggio e di trasformazione, da un tempo ad un altro o da uno stato ad un altro, il termine o l’inizio di un ciclo, stagionale o annuale, nello stesso tempo morte e rigenerazione del tempo, questo ciclo era, secondo l’espressione di Mircea Elide un “eterno ritorno”.
Per i celti il tempo è ciclico: le ore si susseguono per ritornare a quella originaria, le giornate non iniziano all'alba ma vengono contate partendo dalla notte, le stagioni scandiscono i ritmi della vita e della morte. La morte non è la fine ma un nuovo inizio. Questo concetto è molto importante per comprendere la cultura celtica. Nei cicli della natura si trova l'elemento divino, che permea l'intera vita dei Celti. Le feste celtiche sono proprio i momenti in cui si aprono le porte tra il mondo degli uomini e quello degli Dei e in alcune ricorrenze gli spiriti dei morti possono comunicare con i viventi. L'anno celtico consisteva di 13 mesi ovvero 12 come i nostri attuali più un mese di 3 giorni alla fine di ottobre che collegava l'anno vecchio al nuovo. I nomi gaelici delle quattro stagioni risalgono ad epoche pre-cristiane: Earrach per la Primavera, Samhradh per l'Estate, Foghara per l' Autunno, e Geamhradh per l'Inverno.
Le feste celtiche sono divise in due cicli:
il primo ciclo è quello del viaggio del sole attraverso il cielo, e comprende quindi i due solstizi e i due equinozi. Le feste solari (dette anche Alban) sono: Alban Arthuan, Alban Eiler, Alban Heruin, Alban Elved
Il secondo ciclo è quello delle stagioni, legato alle tradizioni contadine quali il tempo della semina, della fioritura, della maturazione e del raccolto. Queste feste sono dette feste del fuoco e sono le più importanti: Samhain, Imbolc, Beltane (o Beltain), Lughnasadh. Ogni festa veniva solitamente celebrata per tre giorni (prima, durante e dopo il giorno ufficiale di osservanza). Per il celti il 3 era il numero della divinità.


Feste del Fuoco



SAMHAIN
Cade la notte del 31 Ottobre ed è la festa dei morti. Samhain segnava il capodanno ed era il tempo quando la notte era più lunga del giorno, fredda e buia. I rituali iniziavano con lo spegnimento di tutti i fuochi (che venivano poi riaccesi a partire dal fuoco acceso dall'Eildeir dei druidi e tenuti accessi tutto l'anno). Samhain era il tempo quando le porte tra questo mondo e il mondo ultraterreno si aprivano e gli spiriti dei morti (e a volte anche i mortali) potevano passare liberamente da un mondo all'altro.
Era consuetudine lasciare del cibo e delle bevande davanti alle abitazioni per placare le anime dei defunti. In alcune regioni, in particolare in Scozia, i giovani uomini percorrevano i confini delle fattorie, dopo il tramonto, tenendo in mano delle torce fiammeggianti per proteggere le famiglie dalle Fate e dalle forze malevole che erano libere di camminare sulla terra quella notte.
Samhain era per i druidi il momento in cui si poteva più facilmente prevedere il futuro.
Come nelle altre principali Feste del fuoco, Samhain era una celebrazione del passaggio da una stagione all'altra.

IMBOLC
Imbolc cade il 31 Gennaio e significa letteralmente "in latte", in quanto corrispondeva al periodo in cui iniziava la produzione di latte delle pecore e delle mucche. Il latte era basilare per l'economia celtica e quindi Imbolc era una grande festa. La tradizione voleva che si facessero passare i primi agnelli nati in cerchi infuocati, le donne si cospargervano le parti intime con le ceneri rimaste credendo che aiutasse le gravidanze, per questo veniva chiamata la festa della fertilità e i figli concepiti in quel periodo venivano detti figli del fuoco.
Durante i rituali di Imbolc era consuetudine versare latte per terra, una piccola offerta e per propiziare il ritorno della fertilità e generosità della terra.

BELTANE o BELTAIN
Cade il 30 aprile ed era la festa della primavera, si celebrava solitamente su alture e colline, in luoghi più "vicini al cielo". Beltane era anche chiamata talvolta Cetsamhain che significa "opposta a Samhain". La parola "Beltaine" letteralmente significa "splendente" o "fuoco brillante".
A Beltane il dio cornuto, impersonato talvolta da un "re d'estate" moriva, per poi rinascere, recuperando così il suo ruolo di consorte della dea e la fecondava (la Dea solitamente era rappresentata da una sacerdotessa), dando inizio alla propria rinascita.
Beltane preannunciava l'arrivo dell' Estate vera e propria.
Si credeva che la rugiada del mattino di Beltane facesse fiorire la bellezza di una donna per tutto l'anno.
Alla Vigilia di Beltane i druidi preparavano due grandi falò con i nove legni sacri. Le greggi venivano ritualmente spinte fra i due fuochi, per purificarle e proteggerle per il resto dell'anno. I fuochi ovviamente simboleggiavano il ritorno della terra alla vita e alla fecondità .
I festeggiamenti includevano scherzi e divertimenti in giro per le campagne, balli intorno all'Albero di Maggio (tipo albero della cuccagna al quale venivano appesi cibi e altre chicche), ed era consuetudine, per gli innamorati, trascorrere la notte insieme nelle foreste. Moltissimi sono i cosiddetti figli di Beltane, nati proprio dai rapporti avuti in questa magica notte.
I giovani saltavano sopra il fuoco per propiziarsi la fortuna nella ricerca della sposa o dello sposo, i viaggiatori saltavano il fuoco per assicurarsi un viaggio sicuro e le donne incinte per assicurarsi un parto facile.
Si usava anche tagliare rami da un albero di Biancospino per decorare l'esterno delle case. Il Biancospino è l'albero della speranza, del piacere e della protezione. Il forte tabù che proibiva di tagliare rami di biancospino e di portarli in casa era annullato tradizionalmente alla Vigilia di maggio.
Beltane, e la sua controparte Samhain, dividevano l'anno nelle sue due stagioni primarie, Inverno ed Estate.

LUGHNASAD
Lughnasadh (chiamata anche Lammas dai sassoni) cade il 1° agosto e segnava l'inizio della stagine dei raccolti. Tutti i riti di Lughnasad miravano ad assicurare una stagione di frutti generosi, in quanto un raccolto abbondante assicurava la sopravvivenza della tribù durante i freddi e sterili mesi invernali. Si praticava anche la raccolta dei mirtilli a scopo divinatorio: se i mirtilli erano abbondanti, si riteneva che il raccolto sarebbe stato più che sufficiente.
All'alba della vigilia di Lughnasad si costruivano piccole capanne coperte di fiori, possibimente vicino a corsi d'acqua, dove gli innamorati dormivano insieme la notte del 31 Luglio.
A Lughnasadh si onoravano Lug, Dio associato sia con il Sole che con la fertilità agricola, e Arianrhod, Dea delle Luna e dell'Aurora. In loro onore si tenevano gare di destrezza sportiva.


Feste solari o Alban



ALBAN ARTHUAN
Ovvero il solstizio d'inverno, cade il 21 dicembre, è il giorno più breve dell'anno ed è chiamato anche:
Yule, Mabon, Jul, Saturnalia, Sol Invictus, Sol Index, Sol Indigens.
Il 21 dicembre il giorno raggiunge il minimo della durata per poi iniziare ad "allungarsi" nuovamente.
Questa festa segnava la notte più lunga, più buia dell'anno ma era una festa di pace.
Molti onoravano l'avvento del Sole bambino bruciando il ceppo di Yule e onoravano la Dea nei suoi molti aspetti di Madre.
Era usanza scambiarsi piccoli doni quali biscotti od oggetti utili.

ALBAN EILER
E' conosciuto anche come Ostara, cade il 21 marzo, il suo nome significa, "Luce della Terra,"
E' uno dei due momenti dell'anno in cui notte e giorno sono uguali (l'altro è Alban Elved).
Questo equilibrio tra luce e buio è raro in natura e quindi Alban Eiler era considerato un potente momento per i rituali magici dei Druidi
In questo periodo si seminavano i campi e quindi i rituali per questa festa erano di carattere "primaverile" e propiziatorio.
Si usava seminare una nocciola nella terra davanti alla propria abitazione. Se la nocciola germogliava entro Lughnasad si considerava un ottimo auspicio per la nascita di figli sani, robusti e numerosi.

ALBAN HERUIN
Cade il 21 giugno e rappresenta il solstizio d'estate, il giorno più lungo dell'anno.
Ad Alban Heruin (letteralmente"La Luce della Spiaggia") il sole raggiungeva il suo zenith e gettava tre raggi di luce sul mondo.
Era conosciuto anche come Litha.
I rituali avvenivano tradizionalmente all'aperto o nei boschi con giochi, cibo, bevande e un grande falò.
I campi erano colmi di grano, la vegetazione era fitta e lussureggiante... per questo Alban Heruin è la festa della fruttificazione, della maturazione dei frutti, della prosperità.
Per i druidi era il giorno ideale per la raccolta delle erbe, per le divinazioni e per i piccoli e grandi riti protettivi legati all’elemento fuoco.
Anche durante questa notte altissimi fuochi salutavano e onoravano la potenza degli Dei.

ALBAN ELVED
Alban Elved, (letteralmente"La Luce dell'Acqua") è il primo giorno di Autunno.
Era chiamato anche Harvesthome e Mabon.
Il 21 settembre il giorno quando il sole cominciava di nuovo a calare e la metà scura dell'anno si avvicinava.
Come nell'equinozio primaverile, giorno e notte erano di lunghezza uguale ed era quindi un altro giorno importantissimo per i Druidi.
Alban Elved è il momento in cui il dio Sole inizia a declinare per fare posto alle divinità femminili, lunari. Il ciclo produttivo e riproduttivo è concluso, le foglie cominciano a ingiallire e gli animali iniziano a fare provviste in previsione dell’arrivo dei mesi freddi.

Druidi



Poco ci resta delle conoscenze dei Druidi, e quel poco è stato offuscato da secoli di mistero e mistificazione. A quest'opera di occultamento hanno senz'altro contribuito storici e commentatori degli ultimi due secoli portati più a descrivere, come la definisce Piggott, la storia come vorremmo che fosse piuttosto che non la storia come è stata.
Quello che effettivamente conosciamo sui Druidi si ricava dalle fonti dei contemporanei, storici e geografi greci e latini, dalla letteratura irlandese e gallese giunta sino a noi attraverso il filtro e la trascrizione dei monaci tra il IX° e il XIII° secolo della nostra era; dalle tracce scoperte in varie fonti circa l'antica religione celtica, e non ultimo dai reperti archeologici sulla civiltà celtica nel suo insieme.
Le prove archeologiche provenienti da scavi di oppida, tombe e luoghi di culto, ci parlano di credenze, cerimonie religiose, rituali e raffigurazioni artistiche di Dei, di cui è possibile dedurre delle ricostruzioni, tanto più attendibili quanto più suffragate da un attento esame delle fonti contemporanee prima, e poi dal corpus mitologico leggendario giunto sino a noi attraverso le saghe epiche irlandesi e gallesi.

Per capire realmente l'unicità del Druidismo bisogna prima comprendere la società celtica, la sua struttura e la sua mitologia.
I Druidi furono al tempo stesso molto di più e qualcosa di meno dei sacerdoti di una religione "druidica" o "celtica" come alcuni storici moderni li hanno dipinti.
Officianti, sacrificatori, e aruspici durante le cerimonie sacre, essi furono anche giudici, medici, maghi, poeti, rappresentando la vera memoria storica di un popolo che non utilizzava di fatto la scrittura.
I Druidi erano un'espressione viva e vitale della società celtica primitiva, legati a filo doppio con quella particolare struttura sociale, e con lo spegnersi degli stati celtici indipendenti furono condannati a scomparire.

Per meglio capire questo concetto fondamentale bisogna rifarsi alla "ideologia tripartita" degli indoeuropei come sviluppata e mirabilmente analizzata da George Dumézil.
Tutte le società indoeuropee, all'inizio della loro storia, sono accomunate da una tripartizione della società in tre funzioni. La prima, è la funzione sacrale della sovranità, del sacerdozio e della giustizia. La seconda è la funzione guerriera, propria dei nobili e dei possidenti di terre o di bestiame. Nella terza, la funzione produttiva di beni materiali o spirituali, sono compresi i contadini, gli allevatori, gli artigiani e gli artisti.
Questo vale per gli Achei e i per Dori della Grecia, come per i Latini che fondarono Roma, per i Germani delle pianure del Nord come per i primi regni dell'Iran. Inoltre questa tripartizione delle tre funzioni principali, dalle società si riflette anche nella mitologia e nelle religioni di tutti i popoli indoeuropei.
La maggior parte di questi popoli possiede una letteratura mitologica che descrive un pantheon di cinque divinità, suddivise nelle stesse tre divisioni funzionali: Regalità, Guerra, Produzione.
Nell'India antica dei Veda, Mithra e Varuna incarnano la sovranità nelle sue due manifestazioni di "terribile potere giudicatore" e "paterno potere protettore". Indra rappresenta invece la forza guerriera, mentre due gemelli Ashvin rappresentano la proprietà e la ricchezza.
Presso gli antichi Latini troviamo la triade Giove, Marte e Quirino rappresentante le stesse tre funzioni.
In Grecia, Giove Athena e Apollo rivestono lo stesso ruolo e, nei tempi più antichi, si sacrificava tre volte nel nome di Athena: come Sovrana, come Vittoriosa, come Dispensatrice di salute e prosperità, riportando così a cinque il numero delle divinità principali.
Presso i Celti sotto vari nomi di divinità tribali, si ritrovano le stesse funzioni. Taranis-Omigos-Dagda, simbolo della regalità simbolizzato dalla ruota e dall'arpa. Belenos-Teutates sono due aspetti guerrieri cui si affianca Brigit dai molti aspetti (Morrigan la guerriera, Epona portatrice di fertilità e protettrice degli animali, Brigit-Belisana protettrice di poeti e artisti). E infine Lug-Lev, dio delle arti e dei Mestieri, Signore dei Tuatha De Danann nella mitologia irlandese, diviene sul finire della civiltà celtica, il dio globale: artista medico e guerriero.

Tale fu dunque anche la struttura iniziale delle società proto celtiche che si amalgamarono con i popoli di cultura megalitica già residenti in Europa ai tempi del loro arrivo.
Da questa fusione nacque una diversificazione del tutto originale che marcò la differenza dei Celti dagli altri popoli di ceppi indoeuropeo.
I Druidi rappresentano dunque un caso unico nella storia dei popoli originatisi dal comune ceppo indoeuropeo. Espressione profonda e rappresentativa di uno spirito libero, legato alla natura, nel tempo si dimostrarono ad un tempo il principale e il più profondo legame tra le innumerevoli tribù celtiche, finendo inevitabilmente per scomparire quando questo tessuto sociale venne a mancare: in Europa continentale, con la perdita dell'indipendenza e con la progressiva romanizzazione delle principali nazioni celtiche, in Irlanda, molto più tardi con l'avvento del Cristianesimo.
Ovviamente, le loro conoscenze non andarono perse in un colpo solo, ma sbiadirono progressivamente. Con la scomparsa del suo ruolo centrale nella società, il potere del Druido si scisse progressivamente nei due aspetti di semplice cantore e poeta, più o meno accettato dal potere cristianizzato, e in quello di mago dei boschi, ultimo custode di reminiscenze del sapere tradizionale, isolato ai confini della società.
Ai tempi dello splendore della civiltà celtica, invece, ai Druidi corrispondeva una ben precisa connotazione di prestigio religioso e sociale simile a quella di altri popoli di origine indoeuropea. Tali ad esempio sono ancor oggi i Bramini tra gli indù, la cui figura risale ancora alle invasioni ariane dell'India, verso il secondo millennio avanti Cristo.
Al duplice ruolo sociale e religioso che li accomuna ai Druidi, i Bramini hanno però aggiunto una diversificazione trasformando il loro ruolo in una casta ereditaria chiusa, mentre presso i Celti non esistevano caste, bensì ruoli funzionali, che permettevano pur sempre una certa libertà di mobilità sociale da una funzione all'altra. Questo aspetto era ancora più accentuato presso i Druidi, che pur essendo principalmente gli insegnanti dei figli delle classi nobili, accettavano alle loro scuole itineranti qualsiasi ragazzo realmente dotato che desiderasse istruirsi.

Sacerdotesse celtiche



Non esistono prove storiche certe del fatto che le “Druidesse” fossero delle Sacerdotesse appartenenti all’ordine dei Druidi, e neppure del fatto che le donne fossero effettivamente ammesse a far parte dell’ordine druidico.
Tacito descrive la presenza, accanto ai Druidi, di donne vestite di scuro con i lunghi capelli sciolti al vento che agitavano fiaccole.
Questa può essere considerata senz’altro una prova che le donne avessero una certa influenza nelle questioni spirituali anche se non possiamo dire con certezza che si trattasse di Sacerdotesse appartenenti all’ordine druidico.
“Stabat pro litore diversa acies, densa armis virisque, intercursantibus feminis, [quae] in modum Furiarum veste ferali, crinibus disiectis faces praeferebant; Druidaeque circum, preces diras sublatis ad caelum manibus fundentes, novitate adspectus perculere militem, ut quasi haerentibus membris immobile corpus vulneribus praeberent. dein cohortationibus ducis et se ipsi stimulantes, ne muliebre et fanaticum agmen pavescerent, inferunt signa sternuntque obvios et igni suo involvunt.”
Flavio Vopisco nel suo Historia Augusti, XIV, 2-3 fa riferimento alla profezia di una Sacerdotessa druidica nella seconda metà del III secolo:
“Diocleziano, che militava ancora nei ranghi inferiori, ed era di stanzia in Gallia nel paese dei Tungri, si trovò in una locanda a fare i conti dei suoi costi giornalieri con una donna che era una druidessa. Questa a un certo punto gli disse “Diocleziano, sei troppo avaro e spilorcio!”. Ed egli le rispose scherzando: “Quando sarò imperatore, allora sì che largheggerò”. E si dice che la druidessa abbia risposto: “Diocleziano, non scherzare, sarai infatti imperatore, dopo aver ucciso il cinghiale”.
In effetti quando Diocleziano uccise il prefetto Arrio soprannominato “il cinghiale” divenne imperatore e si avverò così la profezia della Druidessa.
Ancora Vopisco nel suo Historia Augusti racconta che Aureliano avesse consultato le Druidesse di Gallia chiedendo loro se l’Impero sarebbe rimasto in mano ai suoi discendenti, ma che queste risposero che nessun nome sarebbe stato più famoso di quello dei discendenti di Claudio:
“Quindi, secondo Diocleziano, Aureliano un giorno consultò le Druidesse di Gallia per chiedere loro se l’Impero sarebbe restato in mano ai suoi discendenti, ma quelle risposero che nessuno nello Stato avrebbe avuto un nome più eclatante di quello dei discendenti di Claudio” Lampridio nel suo Historia Augusti LX racconta che nel 235 d.C. Alessandro Severo aveva iniziato una spedizione in Gallia per liberarla dai romani e che, mentre si accingeva a partire, una profetessa druidica gli urlò in lingua gallica: “Va’ ma non sperare nella vittoria e non fidarti dei tuoi soldati”. E infatti Alessandro Severo morì poco tempo dopo per mano dei suoi soldati.
Di queste donne chiamate dai Romani “druidesse” sappiamo soltanto che predicevano la fortuna ed è quindi possibile che il nome dryades, o una forma simile, sia stato loro attribuito dagli autori latini a causa di un fraintendimento originato da una scarsa conoscenza dello status e delle funzioni dei veri Druidi: le “druidesse” possono aver di fatto rappresentato, agli occhi acritici dei biografi imperiali, quel che restava di una funzione ben documentata tra i druidi fin dalle origini cioè la divinazione; e per questo possono averle chiamate con quel nome, incuranti di un loro autentico legame con l’ordine dei Druidi, solo per indicarle come donne sapienti. Tuttavia sappiamo che in passato figure di interpreti e indovini erano considerate un sottordine dei druidi e quindi è possibile che queste donne, continuando l’opera dei vati, fossero investite di un’autorità tradizionale che autorizza in un certo senso a considerarle membri dell’antica casta sacerdotale. Di conseguenza non c’è nulla di improbabile nell’immagine di donne che in Gallia avevano la reputazione di druidi, anche se l’associazione del loro ruolo di indovine con una vita da locandiere, come emerge dal brano di Vobisco, dà chiaramente il senso del livello molto basso a cui era sceso il druidismo nel III secolo.
Esistono invece prove, seppure incerte, della presenza tra i Celti di Sacerdotesse nel vero senso del termine chiamate spesso in lingua irlandese Bandrui.
La donna nella Società Celtica rivestiva ruoli più importanti rispetto a quelli rivestiti in altre civiltà contemporanee, ruoli paragonabili a quelli degli uomini poiché non esistevano discriminazioni sessuali, e quindi le donne godevano spesso di una grande considerazione; la storia e le leggende sono ricche di importanti figure femminili che furono non solamente guerriere ma anche Sacerdotesse e profetesse.
Ricordiamo la Regina Boudicca, guerriera e Sacerdotessa della Dea Andrasta (dea dei corvi e delle battaglie simile alla divinità irlandese Morrigan); Medb, il cui nome significa “esaltazione” e che era considerata una profetessa; Scathach, Regina guerriera che istruì l’eroe irlandese Cu Chullain; Banbhuana, figlia di Deargdhualach e maestra del Druido irlandese Mogh Roith; Camma, Sacerdotessa della dea Brigit; Nessa, madre del Re Conchobar che prese il nome di sua madre invece che quello di suo padre e fu così chiamato mac Nessa Conchobar; Fidelma cui si fa riferimento nel famoso ciclo epico irlandese Tain Bò Cuailnge, druidessa dotata di capacità di preveggenza e descritta come una giovane armata, vestita di una tunica rossa, con capelli biondi e lunghissimi raccolti in tre trecce, occhi dotati di tre iridi e una bacchetta leggera in mano.
Ricordiamo infine la figura di Véleda (I secolo d.C.) appartenente alla Tribù dei Bructeos che, grazie al compimento delle sue predizioni durante la rivolta delle Tribù gallo-germaniche contro i romani nel 69 e 70 d.C. fu rivestita di un prestigio sacro tra i celti e i germani. Tacito a questo proposito racconta che nessuno poteva parlare personalmente con Véleda e che la donna dava i suoi responsi chiusa in un’alta torre: “Tencteris legati ad Civilem ac Veledam missi cum donis cuncta ex voluntate Agrippinensium perpetravere; sed coram adire adloquique Veledam negatum: arcebantur aspectu quo venerationis plus inesset. ipsa edita in turre; delectus te propinquis consulta responsaque ut internuntius numinis portabat” (Historiae, IV, 65).
Importante è anche il mito delle c.d. Insulae Feminarum. Nell’VIII secolo Immram Bran scrive “Non poltrire su un inetto giaciglio, e non lasciare che lo smarrimento ti assalga: intraprendi un viaggio sul limpido mare, per scoprire se è in tuo potere trovare Tir na mBan, la Terra delle Donne”. Queste Isole magiche popolate di misteriose maghe, a cui si fa riferimento in alcune leggende celtiche, non sono senza rapporto con l’isola di Avalon della leggenda Arturiana. Terra mitica di Druidi e Sacerdotesse devote alla Luna, Avalon era perennemente avvolta dalle nebbie per far sì che non fosse trovata; quest’isola era anche detta Albion o Emain Ablach cioè Isola delle Mele ed era considerata il luogo magico dove tutto cresce in abbondanza e spontaneamente. Avalon era posta tra il mondo reale e quello ultraterreno della tradizione celtica e infatti nessuno degli antichi scrittori ha mai identificato una località reale con quest’isola mistica.
D’altra parte però anche molti autori latini hanno fatto riferimento a isole su cui si trovavano organizzazioni religiose femminili: Posidonio racconta dell’esistenza di un isola sulla foce del fiume Loira su cui vivevano delle donne consacrate a Dioniso (Dionyso Katechoménas: evidentemente sotto la denominazione greca attribuita al dio si nascondeva un dio celta locale) e narra come in questa Isola -santuario fosse proibito l’accesso agli uomini; Artemidoro fa invece riferimento a una Sacerdotessa Celta chiamata Gallizena che era legata al culto di Demetra (ancora una volta l’autore denomina una divinità celta con un nome greco) e abitava un’isola del litorale Britannico.
Pomponio Mela nella De Chorographia III, 6, 48 descrive un’organizzazione religiosa femminile in Gallia: quella delle nove vergini dell’Ile de Sein. Queste donne riservavano i loro rimedi e le loro predizioni a chi avesse intrapreso la navigazione per consultarle e, secondo il geografo romano, erano chiamate Bandrui ed erano ordinate in tre diverse categorie. La categoria di minore autorità era quella delle Sacerdotesse che vivevano perennemente recluse sull’Isola ed erano tenute ad osservare un voto perenne di castità, queste Sacerdotesse avevano il compito di alimentare il sacro fuoco perenne in onore delle divinità femminili cui erano consacrate; la seconda categoria di Sacerdotesse aveva il permesso di sposarsi ma doveva comunque rimanere all’ interno del santuario fatta eccezione per pochi giorni l’anno in cui potevano allontanarsi per compiere i propri doveri coniugali, queste Sacerdotesse potevano parlare con la gente e compiere profezie e, secondo Mela, leggevano il futuro sulle foglie del vischio; le Bandrui della classe più alta invece accedevano al loro ruolo solo dopo molti anni di studio e un rito di passaggio, potevano circolare liberamente e avevano il compito di mantenere vive le tradizioni religiose, praticavano l’astrologia e leggevano il futuro osservando le vittime dei sacrifici umani (sacrifici che comunque potevano essere compiuti solo dai Druidi maschi); Pomponio Mela racconta infine che le più potenti di queste Bandrui avevano il potere di comandare i venti e le tempeste, di trasformarsi in uccelli e di curare le malattie più terribili; queste donne erano riverite come divinità dal popolo, potevano dominare la magia delle pietre e delle erbe curative, preparavano i moribondi a una dolce morte, e si occupavano delle nascite e degli incantesimi d’amore.
Continuando ad analizzare miti e leggende scopriamo come le epopee irlandesi fanno spesso riferimento a delle maghe dotate di poteri straordinari e iniziatrici dei giovani tanto in campo guerresco che in campo sessuale. In Irlanda si narrava dell’esistenza di indovine che venivano comunemente associate ai Druidi e che alcuni scribi medioevali hanno definito bandrui; leggende ed iscrizioni citano spesso le “nove maghe” preposte a custodire le acque, e compaiono riferimenti alle banfhlaith vergini custodi dei fuochi sacri, e a sacerdotesse in grado di suscitare tempeste, provocare malattie, uccidere i nemici con maledizioni ed evocare le nebbie; le Sacerdotesse che compaiono nelle leggende irlandesi sono descritte come guaritrici ed erboriste, veggenti e profetesse, donne sagge e “streghe”.
Anche il culto della Dea Brigit è un culto prettamente femminile: tre mesi dopo Samain e quaranta giorni dopo Yule, il 1 febbraio, i Celti celebravano la festa di Imbolc dedicata alla Dea Brigit, festa di purificazione in cui si esaltava il Fuoco ma anche l’Acqua Lustrale. La Dea Brigit portava il soprannome di Belisama “la Splendente”, al suo culto non erano ammessi gli uomini e le erano invece consacrate 19 sacerdotesse che vegliavano su un Fuoco perpetuo. Il numero 19 non è casuale: è infatti legato ai cicli lunari poiché secondo il Ciclo Metonico ogni 19 anni la Luna presenta la stessa combinazione di fasi rispetto ai giorni del Calendario Solare. (c.d. Ciclo Metonico dal nome dell’ateniese Metone che lo scoprì già nel 433 a.C. calcolando che ogni 235 lunazioni medie i noviluni si riproducono nelle medesime date).

Bardi



In una società senza scrittura ove la memoria storica, il sapere tecnico e la genealogia (così importante per i popoli celtici), erano riportati esclusivamente dalla tradizione orale, Bardi e Ovadi godettero di una particolare importanza e considerazione sociale; rappresentanti dei due rami inferiori della scuola druìdica, a essi erano demandati la Poesia e il Canto.
La struttura ritmica del verso allitterativo rende più semplice la memorizzazione e grazie alla letteratura irlandese, vero fossile storico per il particolare isolamento di cui godette sino al Medio Evo, disponiamo con gli antichi poemi epici irlandesi, di un ottimo esempio di come dovessero essere quelli dei loro cugini continentali. Grazie all'opera dei Bardi, il sapere orale e la memoria storica di un popolo di guerrieri si poté perpetuare con relativa facilità.
In Irlanda, il poeta di rango minore si chiamava Filid. Il rango maggiore, equivalente del Pen Bard continentale, era l'Ollav di primo rango che, per prepararsi al suo compito, doveva dimostrare di conoscere a memoria almeno 350 poemi. A un apprendista, l'Ollav di dodicesimo rango, ne erano richiesti solo sette.
In Galles c'erano i bard con a capo un bard telù (o filé), il cosiddetto "bardo della casa", che era anche il bardo personale del Signore del Clan.
Forse il più famoso di tutti i bardi delle leggende legate a Re Artù è Taliesin, ovvero il Merlino di Britannia.

Sacrifici



La religione druidica conosce i sacrifici e ne fa uso. Sacrificare, è rendere sacro un oggetto o un essere, è farlo passare altrove, vale a dire nel mondo divino, caricandolo di tutti i desideri, di tutte le pulsioni, di tutti i sentimenti della comunità che opera il sacrificio. Ciò non ha niente a che vedere con la concezione ridicola e degenerata comune in cui il sacrificio è un atto negativo: da una parte, il sacrificio è un atto per placare, grazie a delle offerte, una divinità temibile, dall’altra, permette di liberare dal senso di colpa l’individuo o il gruppo sociale “inventando” un capro espiatorio.
Presso i Celti, i sacrifici, consistono in diverse oblazioni: vegetali, primizie del raccolto, rami d’albero e fiori. Al pari ci sono sacrifici di animali: tori, soprattutto arieti, ma sempre, o quasi, giovani maschi. Per contro, uno dei Riti di Intronizzazione del Re, comporta il sacrificio di una giumenta dopo che il Re si è unito sessualmente con essa. Dopo di ciò, si fa bollire la carne dell’animale, il Re si bagna nel brodo e mangia la carne. In un Rito di Elezione regale, un uomo ingerisce la carne e il brodo di un toro bianco prima di dormire e di vedere in sogno il futuro Re. La carne di porco, animale sacro e cibo del Banchetto d’Immortalità, è ugualmente utilizzata nel Rito, soprattutto per la Divinazione.
Per quanto riguarda i sacrifici umani, i Celti custodiscono i malfattori per un periodo di cinque anni e poi, in onore dei loro Dei, li impalano e ne fanno degli olocausti. Talvolta essi uccidono le vittime a colpi di frecce, oppure le crocifiggono nei loro luoghi sacri o le fanno soffocare con la testa in un calderone, ne appendono altre ad un grande albero e le sgozzano o anche le bruciano in gabbie di legno o in fantocci di vimini.
L’avvampamento dei fantocci di vimini si tratta di un simulacro, come accade in ogni Rito di passaggio, con morte apparente – ed estasi – seguita da una risurrezione non meno simbolica. L’impiccagione all’albero e il soffocamento nel calderone devono essere della stessa natura e si tratta di un atto di rigenerazione. Durante la morte sacrificale del Re, si sviluppa il ringiovanimento di quest’ultimo, il suo rinnovamento interiore, senza i quali la sua potenza rischia di decrescere con pregiudizio della collettività nel suo insieme. I Druidi non praticano sacrifici umani se non per sostituzione, per il tramite di un simulacro o di un simbolo.
Il Rituale delle Teste Tagliate non è un atto sanguinario in quanto non si taglia la testa di un essere vivente: è quella di un morto che viene tagliata. I Celti tagliano la testa dei loro nemici abbattuti e inchiodano questi trofei alle porte delle loro case. Accade anche che si tagli la testa di uno dei propri compagni morti, per evitare che questa testa cada nelle mani dei nemici. Le teste tagliate costituiscono un Tesoro Sacro. E’ una sorta di “deposito di garanzia” attraverso il quale gli esseri umani stabiliscono un contatto con gli Dei. Anche in questo caso vi è un sacrificio nel senso che ogni Tesoro materiale viene trasceso e trasmutato in Tesoro spirituale. In quest’ottica i Celti accumulano dei Tesori, principalmente Oro, che vengono deposti in laghi o in stagni sacri. Secondo la legge religiosa, non deve accadere che un uomo osi nascondere presso di sé il proprio bottino o toccare le offerte riservate agli Dei; un simile crimine è punito con un’orribile morte tra i peggiori tormenti. Non si può commettere impunemente un sacrilegio, e i Celti sono particolarmente sensibili a questa nozione. Giacchè, nel pensiero druidico, per mezzo del sacrificio, un oggetto o un essere viene elevato al rango divino.

Culto della Testa



Una funzione della religione celtica, che tende ad essere ignorata è la riverenza per la testa umana.
Per i Celti, la testa umana rappresenta una manifestazione fisica di quel centro di vita, quell'essenza che i cristiani conoscono come l'anima.
La testa è un trofeo stimato nella battaglia, le teste dei nemici sgominati, vengono divise fra i Guerrieri e conservate come bottino di guerra:
"quando i loro nemici cadono, tagliano le loro teste e le fissano sui colli dei loro cavalli e cantando una canzone di vittoria, vengono trasportate come bottino di guerra e vengono inchiodate sulle loro case. Le teste dei nemici più distinti vengono imbalsamate con olio di cedro, conservate con attenzione in una cassa e mostrate con orgoglio agli sconosciuti perchè, per questa testa, uno dei loro antenati, il padre, o egli stesso, hanno rifiutato una grande somma di soldi. Dicono che alcuni di loro si vantano perchè hanno rifiutato il peso della testa in oro..." Scrittura di Diodorus Siculus nell’ANNUNCIO di I° secolo
 
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