Periodo Edo o impero Tokugawa

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Coth-Illion
view post Posted on 21/4/2007, 19:55




In questo topic ci dedicheremo alla discussione dei vari periodi storici del giappone a cominciare dal periodo Edo, in cui venne politicamente unificato il paese dal suo inizio, nel 1603 con Tokugawa Ieyasu alla sua caduta nel 1868; per qualsiasi dubbio e problema o per qualunque domanda non esitate a postare; cercherò, laddove mi sia possibile, di aiutarvi a fare luce su di questi dubbi.
Periodo Edo (1603 - 1868)
Politica e società
Il regime Tokugawa
Tokugawa Ieyasu non fu solo un abile condottiero ma anche un uomo politico accorto e lungimirante; nel periodo che va dalla battaglia di Sekigahara (1600) alla sua morte (1616) egli riuscì a porre le basi di uno stato solido e ben organizzato che si manterrà stabile ed essenzialmente immutato per più di due secoli. Dal 1603 al 1868 il Giappone sarà governato da shôgun appartenenti alla famiglia Tokugawa che eserciteranno il loro potere attraverso un governo militare (bakufu) residente a Edo; per tale motivo questo periodo viene indicato con il nome di periodo Edo o periodo Tokugawa.
Il rafforzamento del potere shôgunale
Il primo obiettivo di Ieyasu fu quello di accrescere il potere del bakufu e di limitare quello dei daimyô in modo da dare una netta supremazia militare ed economica al governo centrale ed escludere definitivamente la possibilità di rivolte. Da un punto di vista militare egli esercitò uno stretto controllo sulla classe dei bushi. Confermando e facendo applicare rigidamente la netta separazione tra la classe dei samurai e quella dei contadini introdotta da Toyotomi Hideyoshi nel 1591 egli si assicurò che la popolazione civile non possedesse armi e non fosse addestrata nel loro uso; questo era un metodo molto efficiente per privare i vari daimyô di forze militari autonome e non controllabili dal bakufu e quindi precludere loro ogni possibilità di insurrezione. Sicuramente questa opera di accentramento e controllo fu favorita da un lato dal grandissimo ascendente che egli aveva acquistato dopo la vittoria di Sekigahara, dall'altro dal fatto che i vari signori locali era sfiniti dal lungo periodo di guerra precedente e quindi vedevano di buon occhio un ritorno all'ordine, anche al prezzo della perdita dell'autonomia. Ad ogni buon conto Ieyasu si premurò di eliminare ogni possibile opposizione politica procedendo allo sterminio sistematico della famiglia di Hideyori (il figlio di Toyotomi Hideyoshi).
Analogamente egli cercò di acquistare anche una supremazia economica. Poiché a quell'epoca l'economia del Giappone era basata essenzialmente sulla produzione di riso, egli confiscò e pose sotto la diretta amministrazione del bakufu una quantità di territori tale da assicurargli circa un quarto della produzione di riso dell'intera nazione. Egli favorì anche l'attività industriale e commerciale ma si assicurò il monopolio dei suoi settori più redditizi (come l'estrazione d'argento e il commercio con l'estero). Nello stesso tempo cercò di limitare il potere economico dei daimyô imponendo loro, in cambio della concessione dei feudi, il finanziamento di attività onerose come il mantenimento di un esercito e l'esecuzione di opere di interesse pubblico (bonifica di nuovi terreni agricoli, costruzione e manutenzione di strade e di opere militari). Una analoga politica di contenimento esercitò anche nei confronti delle maggiori città commerciali (Ôsaka, Sakai, Fushimi, Nagasaki, ecc.) di cui abolì i privilegi e su cui esercitò uno stretto controllo.
Organizzazione dello stato feudale
Tokugawa Ieyasu organizzò lo stato finalmente riunificato su una base strettamente feudale. L'intero territorio nazionale venne diviso in numerosi feudi che furono affidati ad altrettanti feudatari (daimyô). Questi avevano verso il bakufu un obbligo di obbedienza e fedeltà che normalmente comprendeva il dovere di mantenere un esercito da mettere a disposizione dello shôgun in caso di necessità, di versare una certa percentuale del raccolto come tasse, di partecipare con manodopera e risorse economiche a opere pubbliche di interesse nazionale, di rispettare alcune leggi nazionali che riguardavano soprattutto questioni di ordine pubblico (non dare asilo a ricercati, denunciare congiure contro il bakufu, ecc.). Per tutto il resto, e in particolare per quanto riguardava l'amministrazione interna dei feudi, ogni daimyô era libero di regolarsi come meglio credeva; per questo motivo durante il periodo Tokugawa le condizioni materiali della popolazione variavano molto a seconda della regione.
Ieyasu divise i propri feudatari in due grandi categorie: i fudai daimyô e i tozama daimyô. I fudai daimyô erano i feudatari più fedeli, quelli che erano stati alleati di Ieyasu anche prima della battaglia di Sekigahara e a cui egli affidò le cariche di maggior responsabilità e prestigio nel governo militare. I tozama daimyô ["daimyô esterni"] erano invece i feudatari che gli si erano sottomessi dopo Sekigahara; alcuni di loro facevano parte della "alleanza occidentale" e quindi avevano combattuto contro Ieyasu in quella battaglia. In molti casi si trattava di signori di feudi vasti e potenti, solitamente situati nelle regioni più periferiche (nord-orientali o occidentali) del paese; Ieyasu non se ne fidava fino in fondo ma li trattò con una certa cautela, lasciando loro una maggiore autonomia, per evitare il pericolo di possibili rivolte. I fudai daimyô erano invece soggetti a una disciplina molto più rigida e avevano feudi più piccoli, collocati in punti strategici (lungo le vie di comunicazione importanti) o come feudi-cuscinetto lungo i confini delle terre dei tozama, in modo da poterne controllare i movimenti.
Tutti i feudatari (sia fudai che tozama) avevano l'obbligo di risiedere a Edo ad anni alterni per un certo periodo di tempo. Questa pratica era iniziata come un atto di omaggio spontaneo allo shôgun ma in seguito venne resa obbligatoria per legge (1635). Da parte dello shôgun infatti questo era un modo efficace per tenere direttamente sotto controllo i propri feudatari e per assicurarsi della loro fedeltà (anche quando il daimyô ritornava al proprio feudo doveva lasciare a Edo la propria famiglia come ostaggio). Questo era anche un modo per indebolire finanziariamente i tozama, che a proprie spese dovevano mantenere permanentemente a Edo una residenza degna del loro rango.
Ieyasu tenne sotto il diretto controllo del bakufu una vasta regione attorno al Kantô e al Kinki; questa zona non fu divisa tra feudatari ma veniva amministrata da funzionari (hatamoto) alle dirette dipendenze dello shôgun. Questi territori inizialmente procuravano una rendita annuale di circa 7 milioni di koku ma furono molto ampliati da una sistematica politica di confisca dei terreni attuata dai successori di Ieyasu e quindi verso la fine del XVII secolo arrivarono a 17 milioni di koku (circa 2/3 della produzione nazionale).
La struttura della società feudale
La società feudale del regime Tokugawa era basata su una rigida divisione della popolazione in quattro classi (militari, contadini, artigiani e mercanti); chi era nato in una classe non poteva passare a un'altra, anche se aveva possibilità di migliorare la propria posizione all'interno della stessa classe. Questo sistema estremamente conservatore era dettato dalla preoccupazione di mantenere rigidamente l'ordine costituito: ogni novità era considerata dalla classe dirigente come potenzialmente pericolosa e quindi era scoraggiata.
I militari o samurai (circa 5 - 10% della popolazione) costituivano la classe più elevata ed erano gli unici che potevano accedere a cariche politiche o amministrative. Questo fatto era naturale per un governo militare ed era la conseguenza dell'importanza che l'esercito aveva avuto nel precedente periodo, segnato da instabilità politica e continui conflitti, ma divenne rapidamente anacronistico in un'epoca di ordine e pace come quella Tokugawa. Tra l'altro la maggior parte dei samurai erano addestrati nell'uso delle armi ma non avevano la preparazione necessaria per affrontare mansioni amministrative e civili. La classe militare cercò di reagire a questa situazione acquisendo gradatamente la coscienza del suo nuovo ruolo, ma rimase una contraddizione di fondo che alla lunga sarà una delle cause della fine del bakufu.
I samurai erano sottoposti a un severo codice di comportamento: in teoria non potevano intraprendere attività commerciali e soprattutto non potevano passare alle dipendenze di un nuovo signore. Quando il feudo a cui appartenevano passava a un altro daimyô essi perdevano il posto ed erano esclusi per sempre da ogni incarico militare; essi diventavano così rônin [lett. "uomini-onda"] ed erano costretti a vivere di espedienti. Nel corso del XVII secolo le confische di feudi operate dal bakufu crearono un numero molto elevato di rônin (forse mezzo milione). Essi costituivano un problema sociale così grave che il bakufu fu costretto a rivedere la politica nei loro confronti, favorendone l'inserimento nell'amministrazione statale. Grazie a queste misure verso la fine del secolo il numero dei rônin era molto diminuito.
Benché i contadini (circa l'80% della popolazione) fossero in teoria la classe più rispettata dopo i militari e la principale fonte di ricchezza della nazione, le loro condizioni di vita e di lavoro erano estremamente dure; essi non potevano abbandonare l'appezzamento di terra su cui erano nati ed erano soggetti a forti tasse in natura (dell'ordine del 50% del raccolto) e pesanti corvées. A ciò si devono aggiungere le difficoltà dovute a cause naturali (ricorrenti carestie per le condizioni climatiche sfavorevoli). Per questi motivi tra i contadini serpeggiava un malcontento che spesso sfociò in violente insurrezioni.
Subito dopo nella scala sociale venivano gli artigiani che solitamente vivevano nelle città o nei borghi attorno ai castelli e che pure erano in generale alquanto poveri. Tuttavia gli artigiani più abili e soprattutto quelli che producevano articoli necessari ai militari (armaioli e fabbri) godevano di un'alta considerazione.
Da ultimi venivano i mercanti; nella visione economica piuttosto arretrata del bakufu essi non producevano beni e quindi erano considerati quasi alla stregua di parassiti che si arricchivano sfruttando il lavoro altrui. Perciò essi ebbero un potere politico sempre molto ridotto anche se la crescita di un'economia su scala nazionale che ebbe luogo durante il periodo Edo ne aumentò sempre più il potere economico.
Al disotto delle quattro classi c'erano persone che erano considerate al di fuori della comunità, non godevano di diritti civili ed erano costrette a risiedere in quartieri separati o a condurre una vita nomade. Questi emarginati, chiamati eta [lett. "molta sporcizia"] oppure hinin ["non uomini"], erano inizialmente persone considerate impure per delitti commessi o per il loro mestiere (macellai, conciatori, mendicanti, prostitute, intrattenitori da strada); tuttavia questa condizione era ereditaria e con il passare del tempo si andarono formando comunità soggette a discriminazione solo in ragione della loro discendenza. Questo tipo di emarginazione sociale non è scomparso neppure nel Giappone odierno dove sussistono comunità (oggi chiamate di burakumin) tuttora soggette a discriminazione.
Il bando del cristianesimo e la chiusura della nazione
La politica di Tokugawa Ieyasu nei confronti del cristianesimo e dei rapporti con l'Occidente subì una brusca inversione di tendenza nel giro di pochi anni. Inizialmente egli incoraggiò il commercio con l'estero che considerava come un mezzo per arricchire il paese e le casse del bakufu; a tal fine egli cercò di regolamentare soprattutto i traffici con la Cina (da cui venivano importati soprattutto seta, libri e medicinali) imponendo a tutte le navi mercantili di operare solamente sotto sua licenza. A quell'epoca le coste di molti paesi dell'Asia Orientale erano costellate da insediamenti giapponesi in cui le navi potevano fare scalo.
Analogamente Ieyasu diede inizialmente un moderato sostegno al cristianesimo. In realtà pare che egli personalmente fosse agnostico e che anzi considerasse qualsiasi religione (buddhismo, cristianesimo o confucianesimo) come un potenziale intralcio e pericolo per lo stato; forse la sua posizione nei confronti del cristianesimo era solamente dettata dal desiderio di mantenere buoni rapporti con i mercanti portoghesi e di ostacolare il buddhismo.
Le ragioni della sua svolta in politica estera non sono chiare; probabilmente egli vide che il cristianesimo si stava diffondendo troppo nel Kyûshû e nelle regioni occidentali (della cui fedeltà egli non si fidava troppo) e temeva che ciò potesse facilitare la nascita di una coalizione contro di lui. Analogamente egli si rese forse conto che erano quelle stesse regioni occidentali a trarre i maggiori guadagni dal commercio con l'Occidente. L'avanzata del cristianesimo appariva comunque strettamente legata alla politica di espansione coloniale di Portogallo e Spagna. Sta di fatto che a partire dal 1611 egli emise una serie di provvedimenti sempre più restrittivi nei confronti del cristianesimo e del commercio estero. Queste misure furono ulteriormente inasprite dai successori di Ieyasu e sfociarono in aperte persecuzioni (nel periodo 1613 - 1630 furono uccisi circa 4000 cristiani).
I timori nei confronti della religione cristiana parvero confermati dalla rivolta scoppiata nel 1637 a Shimabara (regione del Kyûshû nei pressi di Nagasaki). In realtà la sommossa non aveva un movente religioso ma era causata dalle pessime condizioni in cui si trovavano i contadini. Tuttavia ad essa parteciparono anche parecchi cristiani e il bakufu ne approfittò per attuare una politica di chiusura quasi totale del paese. A partire dal 1639 fu severamente vietato (sotto pena di morte) sia l'attracco di navi occidentali, sia l'espatrio di cittadini giapponesi, sia il rientro in patria di giapponesi residenti all'estero. Solo agli olandesi fu consentito di mantenere un'attività commerciale tra Cina e Giappone: ad essi era stato permesso di mantenere in Giappone una base permanente a Deshima, una piccola isola artificiale nella baia di Nagasaki che era sotto stretto controllo del bakufu.
Lo sviluppo economico e la crescita delle città
Per il Giappone il periodo Tokugawa costitusce un lungo periodo di pace e di relativo ordine in cui si assiste a un graduale sviluppo dell'economia e all'espansione delle città.
All'inizio del periodo Edo l'economia del Giappone era basata soprattutto sull'agricoltura e in particolare sulla coltura intensiva di riso e cereali. I contadini vivevano in piccoli villaggi (mediamente composti da 50 famiglie) e coltivavano piccoli appezzamenti di terra (molto spesso inferiori all'ettaro). I villaggi avevano una struttura gerarchica al cui vertice stava il capo-villaggio e le famiglie contadine più ricche (honbyakushô) che erano titolari degli appezzamenti; sotto di essi erano i contadini salariati (non proprietari). Il villaggio era collettivamente responsabile del pagamento delle tasse e delle infrazioni dei singoli e perciò esercitava un controllo sul comportamento dei suoi membri.
Durante il XVII secolo la produzione agricola ebbe un forte incremento a causa del miglioramento delle tecniche di coltivazione, della bonifica di nuovi terreni e dell'ampliamento della rete di canali di irrigazione. L'aumento del tenore di vita della popolazione e la crescita delle città fecero sorgere la domanda di generi alimentari più raffinati e l'agricoltura cominciò a diversificarsi, producendo non solo alimenti di base ma anche cotone, tabacco, semi da olio, foglie di gelso per sericoltura e frutta (arance, uva, meloni, ecc.). I contadini che trassero vantaggio da questo sviluppo non producevano più solamente per se stessi e per pagare le tasse ma cominciarono a vendere il surplus; ciò favorì la crescita di un'attività commerciale a livello nazionale e di un'economia monetaria.
Tuttavia lo sviluppo economico fu accompagnato da una crescita dei prezzi dei generi di prima necessità che ebbe effetti negativi sulle condizioni di vita dei ceti più bassi (contadini salariati, braccianti e manovali): come spesso accade nelle fasi iniziali della crescita economica di una nazione, il divario tra le classi sociali si ampliò. Il malcontento e il risentimento dei contadini verso i daimyô e il bakufu si manifestò in ricorrenti rivolte. In crescente difficoltà si trovarono anche i samurai di rango più basso i cui salari erano fissati in termini di quantità di riso, una "moneta" che andava progressivamente perdendo il proprio valore.
Nel periodo Edo il Giappone ebbe un forte sviluppo urbano. Mentre alla metà del XVI secolo la quasi totalità della popolazione risiedeva nelle campagne, verso l'inizio del XVIII secolo il paese aveva un tasso di urbanizzazione tra i più alti nel mondo di allora (5-7%). I nuclei delle città erano costituiti dai grandi castelli che i vari daimyô avevano iniziato a costruire a partire dal periodo Azuchi-Momoyama. All'interno e nelle immediate vicinanze di questi castelli vivevano un gran numero di samurai, le cui esigenze logistiche avevano attirato commercianti e artigiani. Durante il periodo Edo i castelli avevano perso importanza militare ma erano rimasti come sedi dei governi locali dei feudi e dell'apparato amministrativo dei daimyô e si erano ulteriormente sviluppati come centri industriali e commerciali.
La città di Edo, che nel 1590 era un piccolo villaggio di appena un migliaio di abitanti, ebbe una rapida crescita legata soprattutto al suo ruolo di sede del governo shôgunale; essa quindi fu rapidamente popolata da un gran numero di militari e funzionari amministrativi, oltre a divenire la sede delle sontuose residenze dei daimyô. Edo era il punto di arrivo delle tasse raccolte dai funzionari dello shôgun ed era quindi una città ricca, un centro di consumo più che di produzione. Ciò contribuì a creare nella città un'atmosfera vivace e stimolante in cui convivevano ricchi borghesi in cerca di piaceri mondani (il mondo solitamente descritto dal termine ukiyo) accanto a eruditi samurai, studiosi di storia, politica, poesia e antichità classiche.
L'apice di questo periodo di prosperità materiale e di sviluppo artistico e intellettuale è l'era Genroku (1688 - 1704) in cui forse per la prima volta nella storia del Giappone si assiste alla nascita di una cultura guidata dai gusti non della nobiltà o della classe militare ma di una borghesia cittadina ricca e colta. Si tratta di un'arte allo stesso tempo popolare e raffinata che ha tra i suoi massimi esponenti il commediografo Chikamatsu Monzaemon, il romanziere Ihara Saikaku, il pittore Hishikawa Moronobu e il poeta Matsuo Bashô.
Anche la città di Ôsaka ebbe un grande sviluppo. Fin dall'età medioevale la sua posizione centrale e la sua vicinanza al mare e alla capitale di Heian ne avevano fatto uno dei principali centri commerciali del Giappone. Nonostante il miglioramento della rete stradale, anche durante il periodo Edo il trasporto marittimo rimase il sistema più economico per spedire le merci e Ôsaka si confermò come il più importante centro mercantile e finanziario del paese. Dopo la decadenza del periodo Sengoku anche la città di Kyôto ebbe una veloce ripresa, aiutata dalle sovvenzioni che il bakufu elargiva alla corte imperiale e da un forte sviluppo dell'artigianato e del commercio.
Le tre maggiori città del Giappone assunsero ben presto la dimensione di metropoli: nel 1720 Edo aveva circa un milione di abitanti, Kyôto e Ôsaka circa mezzo milione ciascuna.
La diffusione del neoconfucianesimo
Il periodo Edo fu un periodo di crisi del buddhismo che perse quasi completamente l'appoggio della gerarchia politica, anche a causa del sostegno che alcuni potenti monasteri avevano fornito ai nemici di Oda Nobunaga e Toyotomi Hideyoshi. A livello popolare le cerimonie buddhiste e la devozione amidista (scuola Jôdo) continuavano ad avere seguito, ma si può dire che in generale il buddhismo avesse perso la funzione di guida morale del paese che aveva svolto nei secoli passati, anche perché alcuni suoi aspetti dottrinali (il forte richiamo alla compassione e la dottrina dell'illusorietà e transitorietà di tutto ciò che esiste) erano in contrasto con il codice di comportamento della classe militare.
Il cosiddetto neoconfucianesimo era una scuola di pensiero nata in Cina ad opera del filosofo Zhu Xi (1130 - 1200) e sottolineava soprattutto agli aspetti pratici e razionalistici della dottrina confuciana. Da un punto di vista morale esso dava una grande importanza alle relazioni umane, alla tradizione, all'obbedienza assoluta ai genitori e alle autorità come mezzo per mantenere l'armonia sociale.
Il neoconfucianesimo era stato importato in Giappone fin dal XIV secolo ed era oggetto di studio (soprattutto all'interno dei monasteri buddhisti) come uno degli elementi della cultura cinese ma aveva avuto scarso seguito. Tuttavia a partire dall'inizio del XVII secolo esso ebbe una rapida diffusione in tutto il paese e divenne in breve l'ideologia di riferimento degli ambienti intellettuali e della classe politica.
Alla sua diffusione contribuì notevolmente il fatto che uno dei consiglieri più fidati di Tokugawa Ieyasu fosse Hayashi Razan (1583 - 1657), un erudito neoconfuciano; forse per sua influenza alcuni elementi di origine confuciana sono evidenziabili negli editti emanati da Ieyasu. Più in generale il richiamo al rispetto della gerarchia e dell'ordine costituito doveva rendere gradita la morale neoconfuciana al bakufu, tanto che nel 1690 venne fondata a Edo una accademia di studi confuciani (Shôheikô) con il compito di formare i membri della famiglia Tokugawa e i fudai daimyô.
A parte questo lato ufficiale, il neoconfucianesimo ebbe anche una grande diffusione tra gli intellettuali, le persone di cultura e i militari, come è testimoniato dalla nascita di diverse scuole in competizione tra di loro e dal vivace dibattito tra di esse. Probabilmente l'aspetto più importante del neoconfucianesimo fu il suo influsso sugli ideali e sui codici di comportamento della popolazione.
Una misura della penetrazione della rigida morale neoconfuciana nella mentalità della gente comune è data dalla frequenza con cui nella letteratura e nelle opere teatrali del periodo Edo viene affrontato il tema del conflitto tra il dovere morale verso i genitori e i superiori (giri) e i sentimenti umani (ninjô). È tipica in questo senso la situazione di una coppia di amanti che non può coronare il proprio sogno d'amore a causa di doveri morali (ad esempio perché i genitori hanno già combinato un altro matrimonio) e che ha come unica via d'uscita il doppio suicidio (shinjû).
La decadenza del bakufu
La spinta iniziale degli ordinamenti istituiti da Tokugawa Ieyasu e dai suoi primi successori Hidetada (1616 - 1623) e Iemitsu (1623 - 1651) assicurò al governo shôgunale un lungo periodo di stabilità e di efficace controllo sulla nazione. Tuttavia già a partire dagli inizi del XVIII secolo cominciano a manifestarsi i sintomi di una crisi che alla lunga determinerà il crollo del bakufu. Le ragioni di questa crisi sono numerose e complesse; in termini molto generali si può dire che il bakufu non è stato in grado di adattarsi a quei profondi cambiamenti che esso stesso aveva contribuito a generare ed è gradualmente divenuto un'istituzione obsoleta e in arretrato rispetto allo sviluppo del paese.
La crisi economica
La crisi è visibile prima di tutto in campo economico. Mentre il Giappone si stava decisamente avviando verso un'economia di tipo proto-industriale e mercantile, la politica del bakufu rimase sostanzialmente legata all'economia rurale degli inizi del XVII secolo. Il governo centrale ha sempre considerato l'agricoltura come la più importante fonte di ricchezza e le sue misure nei confronti del commercio e dell'industria furono sempre parziali e contraddittorie. In particolare il commercio è stato considerato al più come un male necessario, da sfruttare con le tasse o da limitare nel tentativo di proteggere un'agricoltura condotta su piccola scala che ormai era diventata anacronistica. Anche la stessa rigida divisione in feudi era un ostacolo a un'economia che ormai aveva scala nazionale.
A partire dai primi anni del 1700 il bakufu si trovò in crescenti difficoltà economiche; infatti da un lato il prezzo del riso (la principale fonte di entrata fiscale) continuava a calare mentre le spese aumentavano a causa della crescente inefficienza delle strutture amministrative e della dilagante corruzione dei funzionari. La situazione fu ulteriormente aggravata da una serie di calamità naturali (siccità, inondazioni, eruzioni vulcaniche, pestilenze) che colpirono il Giappone durante il XVIII secolo; a causa delle carestie la popolazione del paese, che era notevolmente aumentata durante il XVII secolo, rimase invece stazionaria per tutto il XVIII secolo. Il dissesto economico del bakufu gravava anche pesantemente sui samurai di rango inferiore, che vedevano il potere d'acquisto dei loro stipendi ridursi costantemente e tra cui quindi cresceva il malcontento.
Un temporaneo miglioramento delle condizioni finanziarie del governo si ebbe sotto Yoshimune (1716 - 1745), l'ottavo shôgun Togugawa. Yoshimune era un uomo risoluto e dotato di senso pratico e varò una serie di provvedimenti per il risanamento delle finanze: istituzione di un contributo annuale da parte dei daimyô, ampliamento delle aree coltivabili con conseguente aumento dell'introito fiscale, riduzione delle spese attraverso una politica di economie e la moralizzazione della classe dirigente. Queste misure (conosciute con il nome di riforma Kyôhô) ottennero il pareggio del bilancio ed ebbero sulle finanze del bakufu un effetto benefico che si prolungò per parecchi decenni. Tuttavia l'impronta conservatrice della linea politica del governo non cambiò e le difficoltà di fondo che essa comportava rimasero.
Un esempio dei metodi seguiti dal bakufu per risolvere i gravi problemi economici in cui si trovava è costituito dalla cosiddetta riforma Kansei ispirate da Matsudaira Sadanobu nel 1787: riduzione delle spese attraverso richiami alla moralità, proibizione di acquisti di generi di tipo voluttuario, introduzione di nuove tasse, limitazione del commercio, riduzione della popolazione delle città e ritorno della popolazione alla coltivazione dei campi.
Più o meno nelle stesse situazioni erano anche i feudi, che spesso avevano bilanci in passivo e si trovavano nella necessità di contrarre forti debiti con i banchieri per poter sopravvivere. Mentre i domini più piccoli avevano ben poche possibilità di cambiare questa situazione, i daimyô di alcuni dei feudi più potenti (e in particolare alcuni tozama daimyô occidentali) intrapresero con successo una politica di razionalizzazione dell'amministrazione e di modernizzazione dell'economia, stimolando attraverso finanziamenti e opere pubbliche lo sviluppo di produzioni in settori particolari (cotone, seta, carta, porcellana, sake, ecc.) che erano molto richiesti a livello nazionale. Ciò portò da un lato al risanamento del bilancio dei feudi e a un miglioramento delle condizioni di vita della sua popolazione, dall'altro a un crescente risentimento verso le limitazioni imposte dal governo centrale.
La crisi della politica di isolamento
La politica di isolamento del bakufu non era mai stata assoluta. Fermo restando il bando totale del cristianesimo, gli shôgun avevano sempre permesso un commercio molto limitato con la Cina, la Corea, le isole Ryûkyû, gli Ainu e gli olandesi. Tuttavia questi scambi erano insufficienti per una economia che si stava avviando verso l'industrializzazione; tra l'altro la produzione agricola del Giappone era soggetta a drastiche variazioni annuali causate dall'instabilità del clima e l'impossibilità di importare generi di prima necessità rendeva molto gravi le conseguenze dei periodi di carestia. A partire dal XVIII secolo in alcuni ambienti intellettuali si era quindi andata formando la convinzione che la politica di isolamento fosse nociva e che il Giappone avesse tutto da guadagnare da scambi sia commerciali che culturali con l'estero. Di questo parere era anche lo shôgun Yoshimune che promosse lo studio dei testi scientifici occidentali, ordinando tra l'altro la compilazione del primo dizionario giapponese - olandese.
Sulla scia di questa parziale apertura si formò un piccolo gruppo di eruditi che impararono la lingua olandese e cominciarono a studiare i testi occidentali, soprattutto al fine di ricavarne notizie utili nei campi della botanica, medicina, astronomia, tecniche agricole e industriali. Questo nuovo ramo del sapere venne chiamato rangaku ["studi olandesi"] ed ebbe come esponenti principali Aoki Kon'yô (1698 - 1769), Ôtsuki Gentaku (1757 - 1827) e Hiraga Gennai (1728 - 1780). Tuttavia gli shôgun successivi a Yoshimune avevano su questo punto idee molto meno evolute e questa tendenza non fu più incoraggiata.
L'arrivo delle "navi nere"
Tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX la politica di isolamento del Giappone si scontrò con le crescenti pressioni da parte dei paesi occidentali. Da una parte la Russia era avanzata nella Siberia orientale e si stava ulteriormente espandendo in direzione dell'Alaska, della Kamchakta, delle isole Sahalin e Curili e perfino dello Hokkaidô. Dall'altra parte le maggiori nazioni europee (soprattutto l'Inghilterra) e gli Stati Uniti avevano crescenti interessi commerciali e politici in Estremo Oriente. Il Pacifico Orientale era quindi solcato da un numero crescente di navi che conducevano esplorazioni geografiche, cercavano nuovi mercati per il proprio commercio o semplicemente avevano bisogno di scali per rifornimenti; il Giappone cominciò quindi a essere raggiunto da richieste di aprire relazioni diplomatiche e commerciali da parte di diverse nazioni.
La risposta del bakufu a queste richieste fu spesso incerta e contraddittoria; gli shôgun erano forse combattuti tra il desiderio di proseguire la politica tradizionale di isolamento e i vantaggi che un'apertura all'Occidente avrebbero procurato. In alcuni casi lo shôgun si limitò a rifiutarsi di ricevere gli emissari occidentali, ma nel 1825 un editto ribadiva l'ordine di sparare a vista su ogni nave straniera che si fosse avvicinata alle coste. Tuttavia la sconfitta della Cina da parte dell'Inghilterra nella Guerra dell'Oppio (1839) indusse il bakufu a tenere una condotta più conciliante e nel 1842 l'editto del 1825 fu revocato.
La fine della politica di isolamento del Giappone fu tuttavia dovuta alla determinazione degli Stati Uniti. Dopo un tentativo fallito nel 1845 da parte del Commodoro Biddle, nel 1853 il Commodoro Matthew Perry chiese nuovamente facilitazioni per la navigazione e il commercio. Perry era accompagnato da quattro navi da guerra; questa volta lo shôgun non se la sentì di opporre un nuovo rifiuto e nel 1854 firmò un trattato che concedeva agli americani il permesso di commerciare con il Giappone attraverso l'accesso a due porti. L'accordo con gli Stati Uniti fu presto seguito da trattati analoghi con Inghilterra, Russia e Olanda.
La fine del governo shôgunale
Il brusco cambiamento di linea politica del bakufu apparve come un vile cedimento a pressioni esterne e suscitò aspre polemiche nel paese e una spaccatura all'interno dello stesso governo shôgunale. Tra l'altro in quella occasione lo shôgun ritenne opportuno chiedere consiglio ai tozama daimyô e alla corte imperiale, che da secoli erano stati esclusi da qualsiasi decisione in materia di politica estera; naturalmente anche questo fatto venne interpretato come un segno di debolezza del governo.
Già nel XVIII secolo si era sviluppata in Giappone una corrente di pensiero che era favorevole al ritorno a un governo imperiale diretto. Gli esponenti di queste idee (che naturalmente erano stati perseguiti dal bakufu) erano ideologicamente collegati con il movimento del kokugaku ["studi nazionali"], un gruppo di intellettuali che aveva come esponente di spicco Motoori Norinaga e che, partendo da una riscoperta e da uno studio filologico della letteratura giapponese antica (e in particolare del Kojiki) e da una rivalutazione dello shintoismo, era giunto a posizioni politiche contrarie allo shôgun.
Verso l'inizio del XIX secolo queste posizioni erano comunemente indicate con lo slogan Sonnô ["Onore all'Imperatore"] e si erano rafforzate a causa della crescente incapacità mostrata dagli ultimi shôgun Tokugawa e della crescente insubordinazione di alcuni potenti tozama daimyô (in particolare nei feudi occidentali di Mito, Chôshû e Satsuma). Dopo la metà del XIX secolo in questo movimento era anche confluita la protesta di quanti erano contrari alla firma dei trattati con i paesi occidentali. La fazione cosiddetta Sonnô jôi ["Onore all'Imperatore, espulsione dei barbari"] era sempre più forte e aveva organizzato una serie di rivolte e attentati contro gli stranieri. Nel 1863 le batterie costiere di Satsuma e Chôshû bombardarono navi americane (attacco a cui le forze occidentali reagirono duramente). In realtà sembra che l'opposizione agli stranieri non fosse dettata da un sentimento xenofobo ma semplicemente dal desiderio di mettere in difficoltà il bakufu.
Ormai il paese era in uno stato di guerra civile. Nel 1864 le forze di Chôshû attaccarono l'esercito dello shôgun a Kyôto. Il bakufu cercò di inviare rinforzi ma gli mancò l'appoggio militare di molti alleati e fu sconfitto. Gli scontri continuarono fino al 1867, quando l'ultimo shôgun si dimise, e nel 1868 l'intero paese si sottomise nuovamente all'autorità dell'Imperatore.

 
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