Le dodici tavole.

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Giosanto
view post Posted on 23/10/2008, 15:44




Le leggi delle XII tavole (duodecim tabularum leges) è un corpo di leggi compilato nel 451-450 a.C. dai decemviri legibus scribundis, contenenti regole di diritto privato e pubblico. Rappresentano una tra le prime codificazioni scritte del diritto romano, se si considerano le piu antiche mores e lex regia.
Sotto l'aspetto della storia del diritto romano, le Tavole costituiscono l'unica redazione scritta di leggi dell'età repubblicana. Per avere un altro corpo di leggi scritte si dovrà attendere il 438 d.C. con il Codice Teodosiano.
Secondo la versione tradizionale, tramandata dagli storici antichi, la creazione di un codice di leggi scritte sarebbe stata voluta dai plebei nel quadro delle lotte tra patrizi e plebei che si ebbero all'inizio dell'epoca repubblicana. In particolare, i plebei chiedevano un'attenuazione delle leggi contro i debitori insolventi e leggi scritte che limitassero l'arbitrio dei patrizi nell'amministrazione della giustizia. In quell'epoca, infatti, l'interpretazione del diritto era affidata al collegio sacerdotale dei pontefici, che era di esclusiva composizione patrizia.
Esse furono considerate dai romani come fonte di tutto il diritto pubblico e privato (fons omnis publici privatique iuris).
Gli studiosi pensano oggi che i redattori non avrebbero introdotto grandi novità, ma si sarebbero limitati a tradurre per iscritto gli antichi mores.
Il tribuno della plebe Gaio Terenzilio Arsa, propose nel 462 a.C. la nomina di una commissione composta da appositi magistrati con l'incarico di redigere il codice legislativo.
Il Senato, dopo un'iniziale opposizione (la proposta fu riformulata l'anno seguente dai cinque tribuni della plebe), votò nel 454 a.C. l'invio di una commissione di tre membri nominati dai concilia plebis in Grecia, per studiare le leggi di Atene e delle altre città. Tito Livio ci fornisce i nomi dei tre componenti la commissione Spurio Postumio Albo, Aulo Manlio e Publio Sulpicio Camerino. (Tito Livio, Ab urbe condita libri, III, 31).
Nel 451 a.C. fu istituita una commissione di decemviri legibus scribundis che rimpiazzò le magistrature ordinarie, sia patrizie che plebee, sospese in quell'anno.
I componenti della commissione furono scelti tra gli ex-magistrati patrizi; sempre T. Livio ce ne fornisce i nomi: Appio Claudio, Tito Genucio, Publio Sestio, Lucio Veturio, Gaio Giulio, Aulo Manlio, Publio Sulpicio, Publio Curiazio, Tito Romilio e Spurio Postumio.
Seguendo il testo liviano, furono nominati decemviri i tre della commissione inviata ad Atene, in qualità di "esperti" e "Gli altri furono eletti per far numero"; Supplevere ceteri numerum (T.Livio, cit. III,33).
Le Dodici Tavole (non sappiamo se di legno di quercia, d'avorio o di bronzo) vennero affisse nel foro, dove rimasero fino al sacco ed all'incendio di Roma del 390. Cicerone narra che ancora ai suoi tempi (I secolo a.C.) il testo delle Tavole veniva imparato a memoria dai bambini come una sorta di poema d'obbligo (ut carmen necessarium), e Livio le definisce come “fonte di tutto il diritto pubblico e privato [fons omnis publici privatique iuris]”. Il linguaggio delle tavole è ancora un linguaggio arcaico ed ellittico. Alcuni studiosi suppongono che le norme siano state scritte in metrica, per facilitare la memorizzazione.
Nel primo anno furono scritte le leggi delle prime dieci tavole, di volta in volta discusse in assemblea, e la commissione, non essendo stato completato il lavoro, fu prorogata anche all'anno seguente.
Fu cambiata la composizione della commissione, che fu nuovamente eletta dai comizi centuriati. Secondo Dionigi di Alicarnasso entrarono a farne parte anche tre plebei, mentre Livio tramanda che fossero nuovamente tutti patrizi.
La seconda commissione dei decemviri fu dominata dal patrizio Appio Claudio ed ebbe un comportamento dispotico.
Le due tavole restanti furono scritte senza consultazione nell'assemblea.
Il diffuso malcontento e un episodio legato a Virginia, una fanciulla plebea che il padre preferì uccidere piuttosto che consegnare alle voglie dell'arrogante decemviro Appio Claudio, scatenarono una rivolta popolare e la deposizione della commissione, con il ripristino delle magistrature ordinarie.
I consoli dell'anno 449 a.C., fecero incidere le leggi su tavole che vennero esposte in pubblico, nel Foro cittadino. Queste dodici tavole furono a lungo considerate diritto dei plebei.
l testo originale non è giunto integralmente fino a noi. Le tavole originali, infatti, andarono perdute nell'incendio della presa di Roma da parte dei Galli di Brenno nel 390 a.C.. Tuttavia, numerosi frammenti sono citati dalle fonti antiche, sia testualmente (ipsissima verba), anche se talora in forma rammodernata, sia come trascrizione, o spiegazione e commento delle singole norme. In alcuni casi sappiamo anche la tavola in cui il versetto era contenuto, e il posto da esso occupato all'interno della tavola. Sulla base di queste reliquie gli studiosi hanno da lungo tempo provato a raccogliere tutte le citazioni pervenute per ordinarle in una ricostruzione del testo decemvirale (cosiddetta palingenesia). Nonostante gli sforzi profusi in questa direzione, ogni risultato raggiunto presenta un alto grado di arbitrarietà, del quale è opportuno essere consapevoli ogni qual volta si consideri il testo delle Dodici Tavole 'virtualmente' ricostruito dai moderni editori. Le leggi dovevano coprire l'intero campo del diritto (diritto sacro, pubbico, penale, privato), compreso il processo. Si tratta di una raccolta delle consuetudini precedentemente esistenti e tramandate oralmente. Stando alle ricostruzioni del testo dei moderni editori, sembra che le prime tre tavole riguardassero il processo civile e l'esecuzione forzata, la quarta il diritto di famiglia, la quinta le successioni mortis causa, la sesta i negozi giuridici, la settima le proprietà immobiliari, l'ottava e la nona i delitti e i processi penali, la decima norme di diritto costituzionale (valore di legge per le decisioni del popolo in assemblea, proibizione dei privilegi, ecc.), mentre le ultime due - dette da Cicerone tabulae iniquae perché istituivano il divieto di matrimonio fra patrizi e plebei - avrebbero avuto carattere di appendice.

Tabula 1

1 Si in ius vocat, ito. Ni it, antestamino: igitur em capito.
Se qualcuno è chiamato in giudizio, vada. Se non va, deve essere chiamato un testimone. Quindi lo si catturi.
2 Si calvitur pedemve struit, manum endo iacito.
Se si sottrae o tenta di fuggire, si imponga la mano.
3 Si morbus aevitasve vitium escit, iumentum dato. Si nolet, arceram ne sternito.
Se la malattia o l'età avanzata sono un impedimento, gli sia dato un mulo. Se non lo vuole, non gli sia data alcuna lettiga.

Tabula 2
morbus sonticus . . . aut status dies cum hoste . . . quid horum fuit unum iudici arbitrove reove, eo dies diffensus esto.
Grave malattia. . . o un giorno stabilito contro il nemico . . . se qualcuno di questi è un impedimento per il giudice o qualsiasi partito, quel giorno i procedimenti devono essere sospesi.
Cui testimonium defuerit, is tertiis diebus ob portum obvagulatum ito.
Uno che cerca testimonianza da un assente deve urlare davanti alla sua porta ogni terzo giorno.

Tabula 3
Æris confessi rebusque iure iudicatis XXX dies iusti sunto.
A una persona che ammette di dovere denaro o è stata giudicata di doverne devono essere dati trenta giorni per pagare.
Post deinde manus iniectio esto. In ius ducito. Ni iudicatum facit aut quis endo eo in iure vindicit, secum ducito, vincito aut nervo aut compedibus XV pondo, ne maiore aut si volet minore vincito. Si volet suo vivito, ni suo vivit, qui eum vinctum habebit, libras faris endo dies dato. Si volet, plus dato.
Dopo ciò, il creditore può mettergli le mani addosso e trascinarlo in giudizio. Se il debitore non paga la condanna e nessuno garantisce per lui, il creditore può portare via con sé il convenuto in catene. Lo può legare con pesi di almeno 15 libbre. Il debitore può sfamarsi come desidera. Se egli non riesce a sfamarsi da solo, il creditore deve dargli una libbra di grano al giorno. Se vuole può dargliene di più.
Tertiis nundinis partis secanto. Si plus minusve secuerunt, se fraude esto.
Al terzo giorno di mercato, (i creditori) possono tagliare i pezzi. Se prendono più di quanto gli spetti, non sarà un illecito.
Adversus hostem æterna auctoritas esto.
Nei confronti dello straniero, è perpetuo l'obbligo di garantire la proprietà della merce.
Questo è il modo di procedere della LEGIS ACTIO PER MANUS INIECTIONEM.

Tabula 4

Cito necatus insignis ad deformitatem puer esto.
Un bambino chiaramente deformato deve essere condannato a morte.
2 Si pater filium ter venum duit, filius a patre liber esto.
Se un padre vende il figlio tre volte, il figlio sia libero dal padre.

Tabula 5

4 Si intestato moritur, cui suus heres nec escit, adgnatus proximus familiam habeto.
Se una persona muore senza aver fatto testamento, il parente maschio prossimo erediterà il patrimonio.
5 Si adgnatus nec escit, gentiles familiam habento.
Se questo non c'è erediteranno gli uomini della sua gens.
7 Si furiosus escit, adgnatum gentiliumque in eo pecuniaque eius potestas esto.
Se qualcuno impazzisce, il suo parente più prossimo maschio e i gentili avranno autorità su di lui e sulla sua proprietà.

Tabula 6
Cum nexum faciet mancipiumque, uti lingua nuncupassit, ita ius esto.
Quando qualcuno fa un accordo o un trasferimento lo annuncia oralmente, gli sarà data ragione.
Tignum iunctum ædibus vineave sei concapit ne solvito.
Nessuno deve spostare travi da edifici o vigne.

Tabula 7
7 Viam muniunto: ni sam delapidassint, qua volet iumento agito.
Mantengano le strade: se cadono in rovina, i passanti possono guidare le loro bestie ovunque vogliono.
8 Si aqua pluvia nocet [...] iubetur ex arbitrio coerceri.
Se la pioggia fa danni [...] la questione sarà risolta da un giudice.

Tabula 8
1 Qui malum carmen incantassit . . .
Coloro che hanno cantato un maleficio. . .
2 Si membrum rupsit, ni cum eo pacit, talio esto.
Se una persona mutila un'altra e non raggiunge un accordo con essa, sia applicata la legge del taglione.
3 Manu fustive si os fregit libero, CCC, si servo, CL poenam subit sestertiorum; si iniuriam [alteri] faxsit, viginti quinque poenae sunto.
Chiunque rompa l'osso di un altro, a mano o con un bastone, deve pagare trecento sesterzi se è un libero; centocinquanta se è uno schiavo; se abbia commesso altrimenti offesa la pena sia di venticinque.
8 Qui fruges excantassit [...] neve alienam segetem pellexeris
Chi si appropriasse con la magia del raccolto o il grano di un altro [...]
12 Si nox furtum faxit, si im occisit, iure caesus esto.
Se avrà tentato di rubare nottetempo e fu ucciso, l'omicidio sia considerato legittimo.
13 Luci [...] si se telo defendit [...] endoque plorato
Se di giorno [l'omicidio è legittimo] se [il ladro] si sarà difeso con un'arma [e se il derubato avrà prima tentato] di gridare aiuto.
21 Patronus si clienti fraudem fecerit, sacer esto.
Se un patrono froda il cliente, sia sacrificato alla divinità.
22 Qui se sierit testarier libripensve fuerit, ni testimonium fatiatur, inprobus intestabilisque esto.
Chi sia stato chiamato a testimoniare o a pesare con una bilancia, se non testimonia, sia disonorato e reso incapace di ulteriore testimonianza.
24 Si telum manu fugit magis quam iecit, arietem subicito.
Se una lancia sfugge dalla mano o viene lanciata per sbaglio (uccidendo qualcuno ndt), si sacrifichi un ariete.

Tabula 9
Privilegia ne irroganto.
Non devono essere proposte leggi private (privilegi)

Tabula 10
Hominem mortuum in urbe ne sepelito neve urito.
Nessun morto può essere cremato né sepolto in città.
Qui coronam parit ipse pecuniave eius honoris virtutisve ergo arduitur ei . . .
Quando un uomo vince una corona, o il suo schiavo o bestiame vince una corona per lui, . . .
Neve aurum addito. at cui auro dentes iuncti escunt. Ast in cum illo sepeliet uretve, se fraude esto.
Nessuno deve aggiungere oro (a una pira funebre). Ma se i suoi denti sono tenuti insieme dall'oro e sono seppelliti o bruciati con lui, l'azione sia impunita.

Tabula 11
Conubia plebi cum patribus sanxerunt.
è vietato il matrimonio fra plebei e patrizi

Tabula 12
Si servo furtum faxit noxiamve noxit.
Se uno schiavo ha commesso furto o un male . . .
Si vindiciam falsam tulit, si velit is . . . (?prae?)tor arbitros tris dato, eorum arbitrio . . .(?rei et?) fructus duplione damnum decidito.
Se qualcuno abbia portato in giudizio una falsa vindicia (il pretore?) dia tre arbitri, e paghi il doppio (del bene?) e dei frutti.
Nelle XII Tavole si prevedeva una sanzione speciale per i casi di lesione patrimoniale come il Furtum e i pauperies (danneggiamento derivante da comportamenti animali).
Esempi: Colui che bruciò una casa e fatto morire nelle fiamme, la pena per aver bruciato la casa sarà:
risarcire il danno;
se no, castigato con una pena più lieve.
Subiscono la pena incendiale chi appicca un incendio all'interno delle mure della città, mentre verrà applicata una pena più lieve per chi appicca un incendio a una casa. Bisogna valutare se la volontà del soggetto era:
Dolosa: l'autore veniva legato, fustigato e messo a morte con il fuoco;
Colposa: l'autore veniva condannato a risarcire il danno arrecato (noxiam sarcire).
Caso costituito dal pascolo e dal danneggiamento notturni, dove viene usato il pascolo e portato nel fondo altrui danneggiando i frutti. Il colpevole verrà condannato, se:
era adulto (pubere): condannato alla pena di morte attraverso l'impiccagione e sacrificato alla dea Cerere (dea della Fertilità dei campi);
era impubere: condannato al risarcimento del danno.
 
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