| NEW YORK - Nessuna apertura al «tiranno» Raul Castro. Incontrare il nuovo leader cubano «manderebbe il messaggio sbagliato» e legittimerebbe la nuova leadership sulla Isla Grande. A dirlo è stato il presidente americano, George W. Bush, ribadendo in una conferenza stampa alla Casa Bianca la linea dura contro il governo cubano.
BUSH: RAUL E’ UN TIRANNO - Il presidente americano ha chiuso la porta al dialogo col nuovo leader cubano Raul, fratello minore di Fidel. Secondo Bush Raul è un «tiranno», che farebbe leva su un eventuale apertura americana per rivendicare la propria legittimità di fronte ai cubani. «Darebbe il messaggio sbagliato - ha detto Bush - scoraggerebbe coloro che si chiedono se l’America continuerà a premere per la liberazione dei prigionieri politici, darebbe una statura di leader a coloro che violano i diritti dell’uomo e la dignità dell’individuo». Nei giorni scorsi anche il Vaticano - il cardinal Tarcisio Bertone, segretario di Stato della Santa Sede è stato il primo «uomo politico» a rendere visita al nuovo presidente cubano - aveva chiesto la fine dell'ultraquarantennale embargo all'isola.
TURCHIA LASCI NORD DELL'IRAQ - Il presidente degli Stati Uniti ha detto anche che la Turchia «deve mettere fine prima possibile» alle sue operazioni militari nell'Iraq del nord, dove sta cercando di sgominare la resistenza dei guerriglieri curdi. Bush non ha precisato se gli Usa si attendono un ritiro nell'arco di giorni, settimane o mesi. Ha semplicemente detto: «Deve farlo prima possibile». Bush ha ricordato che «turchi, americani e iracheni, compresi i curdi, considerano il Pkk un nemico comune» e che «non è interesse di nessuno che si creino santuari per gente che uccide gli innocenti». Ma, ha sottolineato, «le incursioni nel nord dell'Iraq devono essere limitate e temporanee, cioè non devono essere prolungate: i turchi devono muoversi rapidamente, raggiungere i loro obiettivi e uscire prima possibile».
NON C'E' RECESSIONE - Non c'è recessione negli Usa, ma un rallentamento dell'economia. Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti George W. Bush. «Non ci sono dubbi - ha detto - l'economia sta rallentando, ma non ci stiamo dirigendo verso una recessione». Il presidente si era subito prima detto preoccupato dalle conseguenze del rallentamento dell'economia «sui lavoratori americani, e sui loro risparmi per permettere ai giovani di studiare».
«VOGLIAMO UN DOLLARO FORTE» - «Crediamo in un dollaro forte - ha poi detto Bush - e crediamo che i fondamentali dell'economia siano ancora sufficientemente solidi per continuare a crescere in maniera più forte rispetto a oggi». Malgrado l'intervento «a sostegno» del presidente il biglietto verde ha continuato la preoccupante discesa: nella giornata di giovedì ha ripetutamente ritoccato i record storici negativi contro euro, arrivando a un passo di quota 1,52.
NO A NUOVI AIUTI - Bush ha escluso la necessità di un nuovo pacchetto di stimoli economici, come quello varato nelle scorse settimane per rilanciare i consumi, rallentati a causa della crisi dei mutui e dell'aumento vertiginoso dei prezzi del petrolio. Il presidente ha invece chiesto al Congresso di ammodernare i meccanismi esistenti di garanzia federale per aiutare chi è in difficoltà con i mutui a evitare di finire in default: «Il Congresso deve agire per aiutare i proprietari di case a evitare il pignoramento». Il 13 febbraio Bush ha firmato la legge sul piano di rilancio economico con un pacchetto di sgravi e aiuti per 168 miliardi di dollari in due anni.
FED: FALLIRANNO ALCUNE BANCHE - Le Borse hanno reagito alle parole di Bush aggravando il rosso degli indici. Anche perché all'intervento del presidente si è aggiunto quello di Ben Bernanke, numero uno della Federal Reserve: «Vi saranno probabilmente dei fallimenti di banche negli Stati Uniti - ha riconosciuto il presidente della banca centrale Usa - ma non vedo grossi problemi per i grandi gruppi». Bernanke, intervenuto al Congresso, ha rivolto un invito alle società americane perché migliorino lo stato di salute dei propri bilanci.
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